L'Italia ai primi posti nell'Ue per quota di microimprese, ma non mancano le zone d'ombra
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I numeri diffusi di recente dall'Istat sulle microimprese in Italia – lo sono quasi nove imprese su dieci – non differiscono troppo dal dato europeo: le piccole, medie e micro imprese costituiscono, nel complesso, la quasi totalità (il 99%) del tessuto imprenditoriale. Sono il motore dell'economia, generando due terzi dei posti di lavoro nel settore privato. E anche a livello europeo la maggior parte delle Pmi sono, in verità, di piccolissima dimensione.
Le microimprese, per definizione, sono quelle con meno di dieci addetti e fatturato annuo che non superi i due milioni di euro. Secondo i dati Istat rappresentano l'86,4% del totale, da ricercarsi soprattutto nei settori delle costruzioni e del commercio (90,3%). Quote inferiori risiedono nell'industria in senso stretto (71,9%).
L'Eurostat ha collocato l'Italia (il periodo di riferimento è il 2012) ai primi posti per quota di microimprese sul totale delle imprese non finanziarie. Siamo al sesto posto con il 94,9%, mentre sul gradino più alto del podio vi è la Grecia (96,7%). Più distanziati risultano i paesi che meglio hanno retto all'urto della crisi, tipo il Regno Unito (88,9%) e la Germania (82,3%). Siamo al secondo posto, invece, per la proporzione di occupati che tale tipologia riesce a generare.
Nel 2013 – riferisce l'Istat – la quota di addetti delle microimprese attive con dipendenti è del 20,5%, più bassa nell'Industria in senso stretto (9,7%), più alta nelle costruzioni (44,6%). In soldoni – se consideriamo l'universo delle Pmi – si tratta di un segmento fondamentale del nostro sistema produttivo, in diversi casi recenti ad alto contenuto tecnologico e innovativo (molte startup italiane sono, nei fatti, microimprese).
Eppure non mancano le zone d'ombra. Alcuni mesi fa il presidente della Bce, Mario Draghi, notava come in Italia vi sia un'alta concentrazione di microimprese a produttività inferiore alla media anche a causa di "una regolamentazione che le incentiva a rimanere piccole". Già nel 2013 un report della Bce faceva emergere come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia siano i paesi a maggiore densità di Pmi, che però evidenziano performance inferiori a quelle delle grandi aziende, soprattutto tra le microimprese.
Il problema che spesso colpisce le piccole realtà (talvolta ditte individuali o piccole attività familiari alle prese con il passaggio generazionale) è restare competitive sul mercato, situazione aggravata, tanto più durante la crisi, da alcuni fattori (a cominciare dalla difficoltà ad accedere al credito bancario che ha caratterizzato, in negativo, questi ultimi anni). Secondo l'ultimo Rapporto Cerved Pmi 2015 il saldo tra le microimprese che crescono (e diventano Pmi, appunto) e quelle che conducono un percorso inverso è ancora negativo.
Non è un caso, insomma, se le microimprese che sono riuscite ad ampliare le dimensioni sono anche quelle che presentano una migliore struttura finanziaria, quindi non totalmente dipendenti dal credito bancario. E sono quelle, come è facile supporre, che riescono ad essere più produttive e redditizie rispetto alle altre.