Nel 2018 la media è salita a 104 giorni: nessun'altra realtà statale nell'Ue salda i debiti commerciali con ritardi tanto consistenti
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Tornano ad aumentare i tempi di pagamento della Pubblica amministrazione che "privano" le imprese di 30 miliardi di euro. Lo segnala la Cgia, precisando che nel 2018 la media è salita a 104 giorni. Nel 2017 il compenso veniva corrisposto dopo 95 giorni dall'emissione della fattura, contro i 30 stabiliti dalla normativa europea (che possono salire a 60 per alcune forniture). Nessun'altra P.a. nell'Ue salda i debiti commerciali in tempi così lunghi.
Rispetto alla media europea, ad esempio, nel nostro Paese i ritardi sono superiori di oltre due mesi (precisamente 63 giorni). Se in Italia i giorni medi necessari riferiti al 2018 sono saliti a 104, in Spagna e in Francia ci vogliono rispettivamente 56 e 55 giorni per liquidare i fornitori. In Germania, invece, il dato è salito a 33 giorni, mentre in Gran Bretagna si è attestato a 26.
"Gli enti pubblici - osserva Paolo Zabeo, della Cgia - continuano a liquidare i propri fornitori con ritardi inammissibili, mettendo in seria difficoltà specie le imprese di piccola dimensione che, da sempre, sono sottocapitalizzate e a corto di liquidità. E sebbene da almeno tre anni chi lavora per il pubblico abbia l'obbligo di emettere la fattura elettronica, ancora adesso il sistema informatico messo a punto dal ministero dell'Economia non è in grado di stabilire a quanto ammonti complessivamente il debito commerciale della nostra P.a. Una situazione surreale".
A dicembre 2017 la Commissione europea ha deferito l'Italia alla Corte di Giustizia Ue per il mancato rispetto delle disposizioni europee contro i ritardi di pagamento. Dagli ultimi dati della Banca d'Italia sul 2017, lo stock di debiti commerciali in capo alla Pubblica amministrazione italiana sarebbe sceso da 64 a 57 miliardi di euro. E in attesa che il Tesoro riesca a dimensionarli con esattezza, si stima, al netto della quota riconducibile ai ritardi fisiologici (ovvero entro i 30/60 giorni), che le imprese fornitrici vanterebbero circa 30 miliardi di crediti dalla P.a.
Dal 2015 ha fatto il suo "debutto" lo split payment, che obbliga le amministrazioni centrali dello Stato (e dal 1° luglio 2017 anche le aziende pubbliche controllate dallo stesso) a trattenere l'Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all'erario. L'obiettivo è quello di evitare che una volta incassata l'Iva dal committente pubblico, le aziende fornitrici, che secondo Banca Ifis nel 2017 sono state circa un milione, non la versino al Fisco. Il meccanismo, sicuramente efficace nell'impedire che l'imprenditore disonesto non versi l'Iva all'erario, ha però provocato molti problemi finanziari a tutti coloro che con l'evasione, invece, nulla hanno a che vedere. Vale a dire la quasi totalità delle imprese.
Stando alla Ragioneria Generale dello Stato, attualmente il ministero dell'Economia ha informazioni "solo" sul 70% dell'importo complessivo saldato ogni anno dalla P.a., che si aggira attorno ai 160 miliardi di euro. Per questo motivo 48 miliardi di pagamenti ancora adesso non transitano attraverso la piattaforma informatica. Pur essendo costretti a imporre per legge la fattura elettronica ai propri fornitori, molti enti pubblici (almeno il 40% del totale) usano mandati di pagamento cartacei, non consentendo al Tesoro di certificare i ritardi e le somme non ancora liquidate.
Tutto questo, stando alle disposizioni di legge previste nella legge di Bilancio 2017 e dai successivi decreti attuativi, dovrà cessare entro il prossimo 30 settembre. Dal giorno successivo, infatti, tutta la Pubblica amministrazione italiana (Sanità inclusa) sarà obbligata a transitare sia in entrata sia in uscita attraverso la piattaforma Siope+.