A Cushing, in Oklahoma, dove viene stoccato il Wti, rimane solo il 20% della capacità totale. Problemi anche in Cina: le importazioni sono scese del 7%
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Nonostante qualche "sali-scendi" il prezzo del petrolio continua a tenersi su livelli troppo bassi (il 60% in meno rispetto a giugno), con tutte le conseguenze del caso sulle varie economie. Quella che più ci interessa, quella italiana, grazie alla brusca frenata delle quotazioni del greggio ha molto da guadagnarci, come molti altri paesi importatori. Al contrario, i Paesi esportatori, colpiti dalla scarsa domanda di greggio e dai prezzi bassi, si trovano oggi a far fronte anche al problema delle scorte.
La scarsa domanda ha infatti fatto volare le scorte statunitensi dell'ultima settimana oltre le attese. Si parla di 8,17 milioni di barili in più rispetto alla settimana precedente. Le previsioni indicavano invece una crescita pari alla metà di quanto avvenuto. Gli analisti attendevano un +4,7 milioni di barili.
Il rischio ora è quindi l'esaurimento a breve termine della capacità di stoccaggio statunitense. Solo gli stabilimenti di Cushing, in Oklahoma, (dove viene fissato il prezzo del Wti per il New York Mercantile Exchange – il NYMEX: principale mercato finanziario per le contrattazioni energetiche e di metalli preziosi) hanno visto raddoppiare le scorte nell'arco di cinque mesi.
Il Wti (West Texas Intermediate, ovvero il benchmark utilizzato per indicare l'andamento dei prezzi petroliferi) occupa ormai l'80% della capacità totale di stoccaggio di Cushing (escluso il 5% che si tiene vuoto per motivi legati alla sicurezza).
Ma il problema delle scorte non interessa solo gli Stati Uniti. Il calo delle importazioni di greggio da parte della Cina, -7% a gennaio su dicembre a cui è seguita un'ulteriore flessione a febbraio (a dicembre la Cina importava in media 7,15 milioni di barili al giorno), è la conseguenza dell'accumulo strategico iniziale, legato al basso prezzo, che ha via via portato ad una limitazione della capacità di stoccaggio di Pechino.
Intanto negli Stati Uniti, anche se le estrazioni di petrolio rimangono a livelli record, intorno ai 9,42 milioni di barili al giorno, si comincia ad assistere ad un rallentamento della produzione. Nella seconda settimana di marzo l'Energy Information Administration, ha infatti rilevato una aumento della produzione di soli tre mila barili al giorno.
Un altro indicatore è il calo delle trivelle attive. Secondo Baker Hughes a inizio marzo il numero è sceso ai minimi dal 2011 a 922 unità. Solo nella prima settimana del terzo mese dell'anno si è registrato un calo delle trivelle attive di 62 unità: circa il doppio rispetto al calo di 33 e 37 registrato rispettivamente nelle ultime due settimane di febbraio. Rispetto all'ottobre scorso, quando si registrò (con 1.609 trivelle attive) il massimo record storico, il calo è stato del 40%.