Trovato l’accordo tra i grandi produttori per un congelamento della produzione ai livelli di gennaio, ma gli effetti saranno lievi e solo sul breve periodo
© ansa
Vista la recente dinamica dei prezzi del greggio i ministri del petrolio dei grandi Paesi produttori si sono riuniti a Doha per tentare di trovare una soluzione che soddisfi tutti. In un primo incontro Russia, Arabia Saudita, Venezuela e Qatar hanno deciso di congelare la produzione ai livelli di gennaio, una decisione appoggiata anche dall'Iran nelle ultime ore.
Un tentativo che, almeno per il momento, potrebbe risolversi con un nulla di fatto visto che un vero e proprio taglio alla produzione non ci sarà: secondo gli esperti del settore un congelamento della produzione, invece che un taglio, ai livelli attuali avrà un lieve impatto solo sul breve periodo. Tra le altre cose non è ancora chiaro se il congelamento varrà anche per l'Iran, il quale, alla ricerca di rimpadronirsi della quota di mercato persa negli anni delle sanzioni, ha intenzione di aumentare la propria produzione dagli attuali 400 mila barili al giorno a circa un milione.
E' tutto lì il problema: le quote di mercato. L'obiettivo di chi non vuole ridurre la produzione di petrolio è quello di riuscire a garantirsi - come nel caso dell'Iran – o quello di mantenere – come nel caso dei Paesi Opec o della Russia – un'elevata porzione di mercato. L'unico modo è tenere i rubinetti il più aperti possibile, facendo scendere i prezzi, sbaragliando la concorrenza dei nuovi produttori (gli Stati Uniti per esempio, che per produrre shail oil hanno bisogno di un prezzo intorno ai 70 dollari al barile), con apparenti vantaggi solo per i Paesi importatori. Sì perché un barile più economico non ha sempre un impatto positivo sull'economia dei Paesi che dipendono dal petrolio estero.
Prendiamo il caso italiano: nel nostro Paese i prezzi alla pompa di benzina sono scesi molto più lievemente rispetto al greggio, perché sul prezzo finale pesa soprattutto la componente fiscale. Al contrario, prezzi bassi potrebbero portare meno introiti ai Paesi esportatori come, appunto, l'Arabia Saudita, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, o proprio l'Iran, mettendo a rischio la crescita del nostro export in quei Paesi.
Secondo il Sace, per esempio, le esportazioni verso Riad potrebbero crescere del 4% quest'anno, del 5,3% nel 2017 e del 6,1% nel 2018. Le vendite verso il Qatar del 5,8% nel 2016, del 5,1% nel 2017 e del 6,3% nel 2018. Elevati tassi di crescita si prevedono anche per l'export verso gli Emirati Arabi Uniti.