Export in calo verso i paesi emergenti e risalita meno robusta: perché si parla di “rischi” e quali prospettive
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Se la ripresa dell'Eurozona è ancora debole e, soprattutto, non sembra al momento garantire una risalita robusta, molto dipende dalla crisi dei paesi emergenti. È questo, infatti, uno dei primi bilanci di fine anno. Anche la Bce lo ha ribadito, qualche giorno fa: la situazione economica "continua a risentire delle deboli prospettive di crescita nei mercati emergenti e dei moderati scambi internazionali".
Cosa è successo? I paesi emergenti ci avevano abituati a tassi di crescita elevati (in generale le economie emergenti sono cresciute in media del 6% dal 2000 al 2011), per poi registrare battute d'arresto non trascurabili. Il contesto è rimasto tuttavia favorevole per via di altri fattori, quali il prezzo basso del petrolio e le politiche monetarie espansive della Bce.
Nel tempo, però, sono cominciati a farsi sentire i ritardi ampiamente previsti dalle principali organizzazioni mondiali. In principio il Fondo monetario internazionale, a seguire la Banca mondiale e infine l'Ocse: tutti concordi nel sostenere che le aree in via di sviluppo, alle prese con difficoltà di tipo strutturale, avrebbero provocato un rallentamento della crescita, in particolare sul fronte dell'interscambio commerciale.
In estate le turbolenze finanziarie in Cina (con ripercussioni sui paesi vicini), le difficoltà della Russia e la recessione in Brasile hanno aggravato il quadro internazionale. A risentirne proprio il commercio. In Germania ad esempio, pur compensato dal miglioramento della domanda interna, il trend al ribasso dell'export tedesco ha causato un rallentamento della produzione industriale.
Anche in Italia qualche segnale in questo senso c'è stato. Secondo il recente rapporto dell'Abi (Associazione bancaria italiana), la nostra economia è uscita dalla recessione ed è avviata su un percorso di chiara ripresa, ma nel frattempo, nel mese di ottobre, si è verificata una riduzione congiunturale delle esportazioni (-0,4%), di cui la flessione più marcata è quella evidenziata non a caso sui mercati extra Ue. E mentre si è registrato un incremento delle vendite verso le economie più avanzate, al contrario si è osservata una contrazione verso gli emergenti.
In chiave futura è alle decisioni della Fed che si guarda soprattutto. Quest'ultima ha aumentato il tasso di riferimento nell'ambito della graduale normalizzazione della politica monetaria, visti i progressi dell'economia Usa. Ciò potrebbe rendere l'Eurozona – in cui non si escludono nuovi interventi di stimolo – più appetibile in termini di investimenti, mentre gli emergenti saranno attenti osservatori dell'evolversi della situazione a causa della sostenibilità del debito (che è espresso in dollari).