Tale condizione potrà rappresentare un freno alla crescita, soprattutto per paesi come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia
Si prevede un forte invecchiamento della forza lavoro nei prossimi 20 anni e questo sembra preoccupare non poco il Fondo monetario internazionale, secondo cui rappresenterà un freno alla crescita della produttività con inevitabili ripercussioni negative sull'economia.
La questione è molto dibattuta. Già alcuni studi della Commissione europea hanno messo in luce come in futuro le persone anziane (65 anni o più) potrebbero aumentare a causa di diversi trend – quali fertilità, aspettative di vita, flussi migratori – che avranno un impatto sul sistema economico, in termini di forza lavoro e costi sociali (welfare, previdenza, salute), ma soprattutto in termini di ricchezza non generata.
Non è condizione che interessa tutti i paesi dell'Eurozona, la Germania ad esempio non dovrebbe subire particolari contraccolpi in questo senso. Ma Italia, Spagna, Portogallo e Grecia potranno risentirne più di altri. Nel caso dell'Italia un'ulteriore perdita di produttività potrebbe valere circa un terzo della crescita potenziale (più o meno l'1%).
Tale decremento porterebbe in dote una minore competitività, danneggiando l'economia perché chi non trova occupazione non riesce a sviluppare capacità e competenze e il rischio è quello di dissipare capitale umano.
Di recente la Cna (Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa) ha definito la produttività stagnante “il vero fattore di svantaggio”. L'Italia, tra i paesi Ocse, occupa la quinta posizione per cuneo fiscale – la somma di tutte le imposte (dirette, indirette o sotto forma di contributi) che, a carico dei dipendenti o dei datori di lavoro, incidono sul costo del lavoro stesso –, ma a pesare davvero (anche sulle busta paga dei lavoratori dipendenti) è la produttività, rimasta al palo dal 2000 ad oggi mentre è aumentata costantemente in Germania e in Francia.
Partendo dal campione di alcuni paesi europei analizzati, secondo gli economisti del Fmi un incremento di cinque punti percentuali della quota di lavoratori tra i 55 e i 64 anni può incidere su un calo della produttività del lavoro pari al 3%. E c'è da considerare anche che la produttività totale dei fattori – che, come spiega l'Istat, misura la crescita del valore aggiunto attribuibile al progresso tecnico, a miglioramenti nella conoscenza e nell'efficienza dei processi produttivi – può, in un caso analogo, registrare una diminuzione tra il 2 e il 4%.
Mentre negli Stati Uniti la forza lavoro non invecchierà, in Europa – sopratutto in quei paesi colpiti duramente dalla crisi – la situazione potrebbe aggravarsi in assenza di sistemi che aiutino i giovani ad acquisire conoscenze e professionalità, a renderli cioè occupabili.
Il dato è un po' datato, ma aiuta a comprendere lo scenario: l'Eurofound (la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro) ha stimato per l'Ue un costo di oltre 150 miliardi di euro derivante dai giovani inattivi tra i 15 e i 29 anni. Una perdita pari a circa l'1,2% del Pil europeo.