Il piano Ue sulla flessibilità può segnare un'inversione di tendenza. Resta anche per l'Italia il rischio deflazione
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Anche l'Europa sembra essersene accorta, ormai, per quanto le riserve in questo senso siano molte e, per certi versi, difficili da aggirare. Ma ad una serie di politiche restrittive che hanno caratterizzato le scelte economiche in sede comunitaria negli anni della crisi, sta prendendo ora forma la convinzione che per rialzarsi è necessario allentare la presa.
Lo stesso vicepresidente della Commissione europea, Jyrki Katainen, lo ha spiegato in queste ore: "Abbiamo tutti disperatamente bisogno di crescita economica. Il motore sono gli investimenti e tutti i Paesi soffrono di una carenza in questo". Le recenti decisioni della Commissione Ue in materia di flessibilità sono una prima risposta che va nella direzione indicata, sebbene l'allentamento sia quantificabile in termini di decimali rispetto alle regole di base (si veda il limite del 3% sul rapporto deficit-Pil).
Per risalire la china è opportuno rilanciare la domanda aggregata (investimenti più consumi), crollata nell'ultimo periodo al fine di smuovere le acque e incentivare la ripresa. La fase di stagnazione economica, infatti, si ripercuote negativamente sul mercato del lavoro creando ancora più sfavorevoli condizioni sia ai singoli sia alle famiglie.
Prendiamo il caso italiano, che è quello che ci riguarda più da vicino. L'indicatore dei Consumi di Confcommercio registra a novembre 2014 una crescita dello 0,2% rispetto a ottobre e un calo dello 0,3% tendenziale. Osserva Confcommercio: "Il dato dell'ultimo mese, che ha determinato anche un modesto miglioramento della media mobile a tre mesi, pur indicando il proseguimento della fase di lieve recupero dei livelli di consumo da parte delle famiglie si inserisce in un contesto congiunturale difficile, che non sembra idoneo a supportare, nei prossimi mesi, dinamiche più sostenute della domanda". Tradotto: non si vedono ancora margini di ripresa soddisfacenti.
Come spiega l'Istat nell'Annuario statistico italiano 2014, dal 2011 le persone che si dichiarano per niente o poco soddisfatte della propria situazione economica – l'Istat prende in considerazione ambiti più specifici della vita quotidiana – sono la maggioranza della popolazione e nel 2014 rappresentano il 54,6% degli ultra 14enni. L'aspetto positivo è che la quota risulta comunque in calo rispetto al 2013 (58%), sia per quanto riguarda i "per niente soddisfatti” (dal 18,7 del 2013 al 16,6% del 2014) sia per quanto riguarda i "poco soddisfatti" (dal 39,3 del 2013 al 38% del 2014).
Ad ogni modo l'incertezza economica condiziona, e di molto, i comportamenti dei consumatori. Tanto da notare un andamento rispetto al bonus Irpef (gli 80 euro in più in busta paga) che negli scorsi mesi non è stato dirottato in consumi nonostante la crescita del reddito disponibile, bensì in una maggiore propensione al risparmio.
In più l'ufficio studi di Confcommercio stima per il mese di gennaio 2015 una diminuzione dei prezzi dello 0,2% rispetto a dicembre e dello 0,4% su base annua, “dato che riporterebbe l'Italia in deflazione”. La deflazione, cioè la diminuzione del livello generale dei prezzi che ora spaventa l'Eurozona per via del crollo del prezzo dell'energia, deriva proprio dalla debolezza della domanda. Se cala la spesa in investimenti e consumi i prezzi allora diminuiscono, lasciando dietro di sé una spirale negativa: la contrazione della domanda aggregata causa una flessione della produzione e dell'occupazione.
Se questi sono i presupposti ben venga la prospettiva di una maggiore flessibilità, a patto che sia tanto ampia da garantire un sufficiente programma di investimenti, volano per la crescita e la ripresa dell'occupazione.