Italiani tartassati

La pressione fiscale in Italia

11 Dic 2015 - 12:23

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La Legge di Stabilità 2016 varata dal Governo mira ad un alleggerimento della tassazione (abolizione della Tasi, niente aumento dell'Iva e una riduzione dell'Ires, anche se dal 2017 dopo le ultime modifiche legate al contrasto al terrorismo). Lo scopo è non deprimere i consumi e rilanciare la domanda interna in una fase di graduale risalita economica. Eppure, quello delle tasse, resta una delle questioni più insidiose per tanti italiani. Nel mese di giugno la Corte dei Conti si era espressa sull'argomento senza troppi giri di parole: l'Italia ha "una pressione fiscale difficilmente tollerabile” poiché "in una fase di emergenza economico-finanziaria la politica fiscale è stata piegata ad obiettivi immediati di gettito, al fine di garantire gli equilibri di finanza pubblica". Ma cosa è la pressione fiscale? E perché, come si sente spesso dire, ostacolerebbe la crescita?

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La pressione fiscale, in pillole
Come da definizione che ne dà l'Istat, la pressione fiscale è il rapporto tra il prelievo fiscale (imposte dirette, imposte indirette e imposte in conto capitale) e parafiscale (contributi sociali) e il Pil, secondo i principi e le definizioni stabiliti nel Sistema europeo dei conti (Sec 2010). Nel corso dell'intero 2014 il rapporto tra gettito fiscale e Pil è stato pari al 43,6% (dati Istat). Addirittura nel quarto trimestre del 2014 la pressione fiscale si era attestata oltre il 50%, come nello stesso periodo del 2013. Stando agli ultimi dati Istat nel primo semestre 2015 la pressione fiscale sul Pil è rimasta stabile al 41,1% rispetto all'anno precedente ed è cresciuta di oltre due punti percentuali sul primo trimestre. Ma questi dati, di per sé, non dicono nulla rispetto alla qualità o quantità dei servizi pubblici sostenuti attraverso il contributo di cittadini e imprese.

Il confronto europeo
Nell'Ue la pressione fiscale si attesta al 40%, al 41,8% nell'Eurozona. Il nostro paese si colloca al quarto posto tra quelli che adottano la moneta unica. La pressione fiscale, infatti, risulta più alta in Francia (47,6%), Belgio (47,2%) e Finlandia (44%), mentre Germania (39,4), Paesi Bassi (37,2) e Spagna (33,7) sono al di sotto della media europea. Dove il livello risulta essere il più basso è in Slovacchia e Irlanda (30,2%), Cipro (31,6%) ed Estonia (31,9%). Nel Rapporto Noi Italia 2015, l'Istat spiega che “i sistemi fiscali dei paesi dell'Unione europea, pur caratterizzati da molte similitudini quali, in particolare, l'universalità dell'Iva e un crescente grado di armonizzazione, presentano anche differenze molto ampie, per quel che riguarda il livello complessivo di imposizione, il peso delle singole imposte, la ripartizione della fiscalità e dei suoi proventi tra i diversi livelli di governo. Per quanto attiene alla pressione fiscale nel suo complesso, si osserva una rilevante dispersione, in cui ai due estremi si raggruppano i paesi nordici – ai quali tradizionalmente vanno associati livelli di tassazione e welfare elevati – e i nuovi paesi membri con valori intorno al 30 per cento del Pil”.

Un balzello per famiglie e imprese
In generale si può affermare che, per quanto riguarda la tassazione generale, gli italiani sono tra i più tartassati d'Europa. In tema di tasse e contributi, ha calcolato la Cgia di Mestre, se il carico fiscale dell'Italia fosse in linea con quello medio europeo, ogni cittadino risparmierebbe 904 euro all'anno. Ma è opportuno ricordare in aggiunta che la pressione fiscale è un elemento fondamentale per determinare i livelli di competitività e performance del sistema economico, e quindi anche le imprese risentono (in negativo) di una pressione fiscale particolarmente elevata. Secondo una recente elaborazione del Centro Studi ImpresaLavoro l'Italia occupa l'ultimo gradino in Europa e il 141esimo nel mondo per sistema fiscale applicato alle imprese, il che ci rende meno competitivi di altri Paesi. Il ranking si basa su parametri specifici come l'intensità della pressione fiscale, la complessità del sistema e la tempistica necessaria per pagare le tasse allo Stato. In Italia la pressione totale a carico delle imprese si attesta al 65,4%. In calo rispetto al 65,8% dello scorso anno ma ancora troppo elevata per scendere dal secondo posto (dietro la Francia, con il 66,6%). A seguire, poi, troviamo la Spagna con un Total Tax Rate pari al 58,2% dei profitti, la Germania si piazza invece nona in Europa con un 48,8% mentre il Regno Unito è 21esimo con una pressione al 33,7%. Secondo un Rapporto dell'Osservatorio Cna, invece, se presa in considerazione solo la piccola e media impresa (Pmi), la pressione fiscale si attesta al 62,2%, in calo dell'1,7% rispetto al 2014, ma pur sempre superiore al 59,2% del 2011 (anno zero del federalismo fiscale).

Le misure del Governo
Già nella nota di aggiornamento al DEF (Documento di economia e finanza) il Governo anticipava i vantaggi delle misure previste nella Legge di Stabilità 2016, vale a dire la cancellazione degli aumenti di imposta connessi alla clausola di salvaguardia per il 2016 e la copertura della riduzione del gettito tramite tagli di spese. In sostanza, sempre secondo l'Esecutivo, la combinazione di questi eventi dovrebbe portare ad un impatto positivo sulla crescita, perché nel corso del tempo l'alleggerimento della pressione fiscale induce un aumento del livello del Pil. Con l'entrata in vigore delle clausole di salvaguardia – che scattano per raggiungere gli obiettivi di bilancio – la pressione fiscale in verità crescerebbe, gradualmente, fino al 2017 per poi attestarsi al 44% nel 2019. Al contrario, il Governo si dice impegnato a bloccarne l'attivazione (slittando il pareggio di bilancio), così da scongiurare che la risalita dell'economia italiana e il percorso fin qui intrapreso con le riforme strutturali vengano frenati da nuove misure restrittive, che hanno contraddistinto le scelte degli anni precedenti. Dunque, aggiungeva il Governo, “tenendo conto della disattivazione delle clausole e dell'impatto del provvedimento degli ottanta euro a riduzione dell'IRPEF, la pressione fiscale scende, nello scenario tendenziale, da 43,1 nel 2015 a 42,6 nel 2016 con ulteriori riduzioni negli anni successivi".

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