Il quantitative easing

Quantitative easing: la misura non convenzionale della Bce

02 Dic 2015 - 12:11

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Il 9 marzo scorso la Banca centrale europea, dopo una serie di annunci e mosse alternative, ha dato il via libera al Quantitative easing. Una misura “non convenzionale”, com'è stata sempre definita dall'Eurotower, che ha l'obiettivo di evitare, tra le altre cose, il rischio di un prolungato periodo di deflazione nell'Eurozona.

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Contrastare i rischi di deflazione
Il meccanismo che s'innesca con la deflazione - ovvero la discesa dei prezzi al consumo per un periodo prolungato - al contrario di quanto si possa pensare, ha effetti molto negativi sulle economie: i consumatori, con la discesa dei prezzi, tendono infatti a rinviare gli acquisti che in quel momento pesano maggiormente sul bilancio familiare. Di conseguenza, le imprese tendono a produrre meno o comunque a vendere a minor prezzo i propri beni e servizi, facendo scendere i ricavi e la forza lavoro. Tutto ciò si riversa, ovviamente, su consumi e investimenti. Il quantitative easing della Bce serve appunto ad evitare tutto ciò, creando moneta e immettendola nel sistema mediante l'acquisto di titoli di Stato, Abs e altre attività finanziarie fin quando l'inflazione dell'area della moneta unica non uscirà dalla zona rischio. Ovvero finché non si riavvicinerà al 2%.

Il piano del QE potrebbe essere prolungato
Dalle indicazioni rilasciate in vista del lancio, la misura avrebbe dovuto durare almeno fino a settembre 2016, o comunque fino al raggiungimento del 2%. Recentemente però, lo stesso Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea, non ha escluso una seconda immissione di liquidità e c'è addirittura chi, come Standard&Poor's ha stimato un prolungamento del QE fino alla metà del 2018 con un raddoppio degli acquisti a 2.400 miliardi di euro, contro i 1.100 previsti dalla misura attuale. Ad oggi l'Eurozona presenta ancora, a un anno dalla scadenza originaria, un'inflazione al -0,1% (+0,2% in Italia), un dato, come segnala la Bce nell'ultimo bollettino economico, connesso soprattutto a fattori esterni (il calo dei prezzi delle materie prime, il rallentamento della Cina e, in generale, dei Paesi emergenti), ma anche alla situazione greca. “Le proiezioni macroeconomiche per l'area dell'euro elaborate in settembre dagli esperti della BCE – si legge appunto nell'ultimo bollettino disponibile - anticipano un tasso annuo d'inflazione misurato sullo IAPC (indice armonizzato dei prezzi al consumo) dello 0,1 per cento nel 2015, dell'1,1 nel 2016 e dell'1,7 nel 2017”. Appare dunque azzeccata l'ipotesi di un prolungamento degli stimoli monetari.

I primi effetti positivi
Nonostante nell'Eurozona gli effetti sperati dalla Bce sull'inflazione tardino ancora ad arrivare, in Italia si è riscontrato già un impatto lievemente favorevole sulle banche. Gli Istituti di credito, secondo gli ultimi dati dell'Abi, avrebbero, infatti, riaperto i rubinetti: secondo il Rapporto di ottobre, i finanziamenti alle imprese, “grazie - per dirla con le parole della Bce – alla liquidità addizionale”, sono cresciuti del 15,9% nei primi otto mesi del 2015 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Benefici sono stati registrati anche nei prestiti alle famiglie: le nuove erogazioni di mutui hanno, infatti, riportato un +86,1% (un dato sul quale, bisogna precisare, per il 29% hanno inciso le surroghe, ovvero il passaggio di un mutuo da una banca ad un'altra, quest'ultima ritenuta più conveniente dal cliente). Ma che la politica monetaria espansiva abbia effetti positivi, era già stato dimostrato dalla Federal Reserve, cioè la Banca Centrale degli Stati Uniti. Infatti, mentre in Europa vigeva l'austerità, negli Usa venivano messi in campo forti piani d'investimento. E ancora oggi, nonostante l'incoraggiante stato di salute del Paese, la Fed tentenna, rinviando periodicamente la più volte annunciata stretta monetaria.

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