Usa 2024, dalla stretta di mano allo scontro: il primo faccia a faccia fra Trump e Harris
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L'analisi del dibattito televisivo fra i due candidati. La provocazione contro la risposta, il futuro contro il passato: le opposte retoriche di Trump e Harris sposteranno i voti degli americani indecisi?
di Maurizio Perriello© Ansa
Attacco, difesa e contrattacco. Il "tu" contro il "lei". La provocazione contro la risposta. Il futuro contro il passato. Non si può dire che sia finito in pareggio il primo e forse unico duello faccia a faccia fra Kamala Harris e Donald Trump per la corsa alla Casa Bianca di Usa 2024. I media americani parlano di "duello infuocato" e un sondaggio della Cnn mostra una maggioranza (67%) di utenti convinti che il confronto sia stato "vinto" dalla democratica. Ma chi ha vinto davvero? Sull'economia la candidata democratica è apparsa in difficoltà, mentre ha dominato sull'aborto ed è riuscita nell'impresa di farsi conoscere da milioni di americani che non aspettavano altro di capire se fosse una vera leader. E non l'ombra del presidente Joe Biden, come sostenuto anche stavolta da Trump. Il tycoon è scivolato, ma non è rovinato al suolo come in passato. Anzi, si è rialzato e ha restituito qualche colpo. Difficile dire se abbia convinto qualcuno, ma di sicuro non ha raggiunto il suo obiettivo primario: definire Harris prima che lei definisse se stessa. "Non sono Biden né Trump, sono una nuova leader". Il tanto atteso tema generazionale è insomma venuto fuori, rovesciando lo schema che vedeva il democratico Biden come l'anello debole. Ora, banalmente, il candidato più anziano è Trump e la democratica ha fatto di tutto per sottolinearlo senza scadere nell'attacco personale diretto. La vicepresidente era attesa al varco e non ha deluso, anche grazie alla sua mimica facciale e alle espressioni sempre rivolte allo sfidante durante il discorso di Trump. Doveva imporsi e distinguersi da Biden senza tradire la sua amministrazione e tenere testa a un grande professionista dei riflettori.
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Dire che si è vinto è importante, e il navigato Trump lo sa talmente bene da averlo detto per primo a pochi minuti dalla conclusione del duello di Philadelphia. E pensare che era iniziato tutto con una stretta di mano che non si vedeva dal 2016, dal confronto televisivo fra lo stesso Trump e Hillary Clinton. È stata Kamala Harris a volerlo, slanciandosi verso lo sfidante e imponendogli di fatto l'handshake. Un messaggio forte e chiaro, mossa studiata per battere sul tempo e sulle "maniere" un avversario dipinto come misogino, anche per via delle note traversie giudiziarie. Per chi crede alla scaramanzia, non si tratta tuttavia di un buon segnale: nel 2016 proprio la Clinton stravinse il duello tv, ma poi perse le elezioni. Elezioni che si vincono coi voti decisivi del Midwest, cuore del ceppo germanico maggioritario nel Paese, e con quelli dei cosiddetti "Stati in bilico".
La regola della Abc secondo cui il microfono dei candidati dovesse essere spento durante il turno dell'altro ha permesso a Kamala Harris di mettere in atto la sua tattica studiata in hotel, nel quale si era rinchiusa per due giorni a provare le "scenette" coi suoi collaboratori. Espressioni facciali enfatiche, mimica di sdegno, "no" con la testa alle "bugie" pronunciate dall'avversario: ben conscia di avere la telecamera puntata su di lei anche durante le dichiarazioni di Trump, la democratica ha messo in scena il suo sorriso di dissenso, cercando di non scadere nel disturbo. Incassando in un'occasione la protesta del repubblicano, che si è bloccato sottolineando: "Sto parlando io". In generale, nei momenti in cui il pathos del confronto saliva sensibilmente, Harris è stata abile a cogliere l'attimo e a rivolgersi direttamente all'avversario, guardandolo negli occhi e puntando il dito in un modo decisamente americano. In questi momenti il discorso passava al "tu" rivolto a Trump, con gli Usa ad assistere da spettatori. Il tycoon ha invece proseguito praticamente sempre sulle note del "lei", accusando la sfidante sempre in terza persona, come non fosse presente.
Complessivamente, Trump ha parlato più di Harris: cinque minuti di vantaggio, 42 minuti e 52 secondi contro 37 minuti e 36 secondi. Questo perché, sebbene il dibattito fosse stato progettato per offrire a entrambi i candidati pari possibilità di rispondere alle domande, i due potevano scegliere di non utilizzare il tempo massimo concesso. I moderatori hanno anche concesso più tempo per le risposte dopo alcuni scambi.
Anche se probabilmente non sposterà di molto le intenzioni degli americani, il primo faccia a faccia fra Trump e Harris rivestiva un'importanza enorme per il futuro politico statunitense anche prima del suo inizio. Innanzitutto perché la maggior parte degli elettori sapeva già tutto su Trump, mentre in pochi conoscevano il pensiero di Harris. Se vuole vincere, la democratica ha bisogno proprio di molti di questi elettori, tra cui alcuni indipendenti, repubblicani contrari a Trump, elettori bianchi più anziani, latinoamericani e afroamericani. Per questo motivo ha cercato di non essere la candidata "pericolosamente progressista" che il tycoon sosteneva, ma la versione più moderata e matura di se stessa che ha pubblicizzato nella sua breve campagna.
Allo stesso modo la Harris ha cercato, nonostante sia di fatto al governo come vice da tre anni e mezzo, di presentarsi come una candidata del cambiamento dipingendo l'ex presidente come una voce divisiva del passato. Il fatto che in pochi la conoscessero, è "colpa" della stessa Harris. In questi mesi ha evitato i momenti improvvisati e ha rilasciato poche interviste durante la sua breve campagna elettorale, dopo la sua improvvisa ascesa al vertice della lista democratica a luglio. L'occasione era ghiotta ma anche spaventevole per la cosiddetta "prima impressione" che tutti gli americani avrebbero maturato nei confronti della democratica come potenziale presidente. Considerando anche il fatto che potrebbe non avere una seconda possibilità di fronte a un pubblico così vasto. La pressione sulla Harris era altissima anche per un altro motivo. Dopo aver sostituito il presidente Biden nella corsa alla Casa Bianca e aver beneficiato dell'onda dell'entusiasmo, i numeri di Harris nei sondaggi si sono stabilizzati in un pareggio con Trump nella maggior parte degli Stati in bilico.
Dall'altro lato della barricata, il 78enne Trump aveva il compito primario di non apparire come il "vecchio" o il "debole". Prima del duello televisivo, importanti esponenti del partito repubblicano lo avevano esortato a concentrarsi maggiormente su argomenti sostanziali piuttosto che sui consueti attacchi personali. Il tycoon era inoltre chiamato a svelare la sua reale volontà o meno di "chiudere l'impero", ricetta che ne impedì la rielezione nel 2020 e che oggi invece suona migliore di quattro anni fa a quegli apparati e a quella fetta di popolazione stanca della sovraesposizione del Paese in guerre e questioni in tutto il mondo. La questione del "neo isolazionismo" di Trump ha campeggiato su un'istituzione come il New York Times, segno di come i media negli Usa svolgano almeno un ruolo in più rispetto alla nostra Europa. In assenza di un ministero dell'Interno, sono i media americani infatti ad annunciare il presidente degli Stati Uniti, subito dopo lo spoglio. Sono i media americani a veicolare le dichiarazioni e le decisioni politiche dirimenti per il Paese e, di conseguenza, per l'intera rete di satelliti statunitensi (noi compresi) in giro per il mondo.
Non dimentichiamo infine che stanno già votando in Wisconsin, e tra pochi giorni si voterà in Pennsylvania. Quella stessa Pennsylvania abitata da quasi un milione di polacchi chiamati in causa da Harris in risposta a Trump sulla guerra in Ucraina. Facendo leva sull'avversione esistenziale della Polonia nei confronti della Russia, la democratica ha mostrato la volontà di spostare i voti nello Stato che risulterà cruciale nel voto di novembre. Per la serie: "Vallo a dire alla comunità polacca della Pennsylvania quello che hai detto a me su Putin". Non male.