Blue of a Kind. Capi in jeans, glamour e di tendenza, che custodiscono la preziosa memoria storica del denim
di Elena Misericordia© ufficio-stampa
Il jeans, oggi indumento di gran moda, adatto per qualsiasi occasione d’uso, dalla gita in stile casual, alla serata in abito elegante, affonda le proprie origini nel lontano 1873, quando il sarto Levi Strauss utilizzò un resistente tessuto denim, con rivetti di rinforzo, per dare vita alla prima tuta da lavoro. Ai nostri giorni, Fabrizio Consoli, fondatore del brand Blue of a Kind, lancia un prodotto rivoluzionario, proponendo una rivisitazione in chiave sostenibile dei jeans vintage che hanno segnato la moda dagli anni ’70 ai ’90.
I pezzi originali vengono smontati, rifilati e (ri)lavorati con un processo interamente hand-made, 100% Made in Italy. Il risultato è un capo dal sapore contemporaneo, unico e irripetibile, caratterizzato e valorizzato dal fascino e dai segni del tempo, senza nessun passaggio industriale e senza alcun processo chimico.
Fabrizio Consoli si pone l’obiettivo di celebrare la sublime estetica giapponese del Wabi-Sabi, in cui si esalta la bellezza dell'imperfezione e della transitorietà. Nel processo di ri-creazione, infatti, il jeans torna a mostrare la propria identità, a scoprire dettagli in precedenza nascosti, portando a galla la "memoria del denim".
Il cuore del progetto è la sostenibilità, contro l’impatto ambientale e l’iper-produzione industriale, grazie alla realizzazione di tutti i capi con tessuti preesistenti. Bottoni, tasche interne e qualsiasi elemento o azione legata al brand è concepita con materiali riciclati, così come il colore, risultato esclusivamente di anni di usura. L’amore per le tecniche sartoriali italiane trapela dai dettagli: cuciture in pulito, profili rivestiti in raso, cinta precostruita in tessuto a contrasto o tasche in fodera di raso. L’interno del capo racconta la storia di ogni pezzo, testimoniata dalla sua numerazione unica.
Chi è Fabrizio Consoli? Quali sono le tue origini e qual è stato il tuo percorso di formazione?
Fin dalla mia infanzia sono stato abituato a cambiare città molto di frequente. Ho maturato così un senso di alterità perenne, quasi di non appartenenza. Questa sensazione ce l’ho anche nel mondo della moda: mi sento sempre un po’ come a cena a casa d’altri…Ho lavorato nel settore per oltre dieci anni, ricoprendo diversi ruoli, da strategia e vendite a marketing e comunicazione, sino a digital e branding. Ho inoltre sviluppato una grande passione per la fotografia e lo storytelling, trasformando entrambi in vere e proprie professioni: scatto ritratti di musica e moda per alcune riviste ed insegno Branding e Storytelling presso l’Istituto Europeo di Design di Milano. Sono da sempre sensibile alle tematiche di natura ambientale ed ho cercato di approfondire l’argomento in particolare in relazione al settore fashion. Credo Blue of a Kind rappresenti la perfetta sintesi della mia attività sino ad oggi: è il punto in cui convergono le esperienze accumulate, come tutto quanto mi appassiona nella vita.
Da dove deriva la tua passione per la creatività?
Credo che la creatività al giorno d’oggi non possa che essere necessariamente una forma di reinterpretazione e di ibridazione. Che poi è quello che fa Blue of a Kind. Io definisco la direzione del brand, la strategia e l’immagine, mentre la creatività, intesa come design di prodotto, è affidata a Rossella, mia socia e stilista di grande esperienza.
Quando e com’è nato il brand “Blue of a Kind”?
Tutto è iniziato nel 2014. Ero brand manager presso una famosa azienda italiana di denim. Le tematiche ambientali erano già presenti, forse solo percepite meno urgenti di quanto non lo siano oggi. A pranzo, con quello che è poi divenuto uno dei soci di Blue of a Kind, abbiamo iniziato a valutare la possibilità di lavorare esclusivamente con jeans vintage, industrializzando i processi e vendendo principalmente online. Ho lasciato che l'idea fermentasse e prendesse corpo, alla fine mi sono dimesso dal mio precedente ruolo ed ho iniziato a tracciare il perimetro di quello che il marchio avrebbe dovuto essere.
Come mai la scelta di questo nome?
Ho tratto ispirazione da "Kind of Blue”, il rivoluzionario album di Miles Davis del 1959. Blue of a Kind ne vuole raccogliere l’eredità di rivoluzione elegante ed è allo stesso tempo anche un gioco di parole: tutti i nostri jeans sono per loro natura diversi l’uno d’all’altro, “one of a kind” in inglese. Blue, invece, come il colore iconico del denim.
Perché i jeans?
E’ il settore in cui ho lavorato per più di dieci anni ed in cui avevo contatti, conoscenze ed esperienza. C’è però una motivazione più intima: la naturale trasversalità dei jeans, la loro origine umile, eppure totalmente sdoganata a tutti i livelli. In jeans si va al lavoro, ad un appuntamento, ma sono totalmente ok anche in una serata elegante. E poi lo dice anche Giorgio Armani: “I jeans rappresentano la democrazia nella moda”.
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“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Il postulato di Lavoisier è il cuore del tuo progetto e si richiama al concetto di sostenibilità; in che termini?
“Qual è il prodotto con il minore impatto sull’ambiente? Il prodotto che esiste già.” Questo frase è divenuta negli anni il nostro mantra, la nostra libera interpretazione del principio di sostenibilità ed attorno a cui è fiorito il progetto Blue of a Kind. I capi di abbigliamento esistenti sono quelli che hanno in qualche modo già espresso il loro potenziale nocivo sull’ambiente. Crediamo che ci sia un modo per reinterpretarli senza dover necessariamente sacrificare stile, qualità o fit. Come? Applicando creatività su creatività, ripensando totalmente capi che hanno avuto una vita precedente.
Quali sono dunque le caratteristiche essenziali delle collezioni Blue of a Kind?
Tutto quello che usiamo nel processo produttivo è esistente, nulla viene prodotto specificamente per realizzare un capo Blue of a Kind, a parte l’etichetta. Dai jeans, ai materiali interni per le tasche, alla cinta precostruita così come al tessuto usato per le aggiunte, si tratta sempre di vintage o leftover. Allo stesso tempo tutto viene realizzato rigorosamente a mano, un pezzo alla volta. Per i nostri jeans utilizziamo le tecniche della tradizione sartoriale italiana per i pantaloni da uomo. Nel settore dei jeans i lavaggi sono il processo che ha il maggiore impatto inquinante: i nostri non toccano mai l’acqua se non in lavatrice per la sanificazione iniziale. Dunque la selezione dei capi che verranno in seguito modificati è parte integrante del processo creativo. Le aree più scure precedentemente nascoste, così come le rotture e le sdruciture, i segni della vita precedente dei nostri jeans non vengono nascoste ma evidenziate, a sottolineare la natura di rinascita.
I tuoi jeans hanno un’impronta rock’n’roll ma al tempo stesso nascondono un’anima sensibile all’artigianalità e alla tradizione sartoriale. Che importanza assume il Made in Italy nel processo di produzione dei tuoi capi?
Ci piace dire che i nostri capi sono (Re)Made in Italy: l’artigianalità dei processi è per noi un elemento fondante ed irrinunciabile. Anche in questo si vede la natura ibrida dei Blue of a Kind: ruvidi come un jeans fuori, delicati come un prodotto sartoriale dentro. L’esperienza, le abilità ed il know how della nostra tradizione sartoriale sono un patrimonio prezioso, lasciato frettolosamente alle spalle dal settore durante la fuga verso terre lontane alla ricerca di manodopera a basso costo. Noi produciamo tutto nel raggio di 50 Km da Milano.
A quale donna ti rivolgi?
Credo che vestirsi sia una parte integrante e sottile del racconto di sé. La donna Blue of a Kind ha chiaro in mente che oggi non si può più pensare di essere alla moda e sexy senza avere anche allo stesso tempo a cuore l’ambiente. Anzi, credo che la sostenibilità sia la vera nota di “sexyness” contemporanea. Per questo vorrei che il brand rappresentasse quello che Tesla ha significato per il settore delle automobili.
Chi è Fabrizio nella sua vita privata? Passioni ed interessi nel tempo libero?
Croce e delizia dell’essere imprenditori è spesso la mancanza di soluzione di continuità tra vita privata e lavoro. Credo in quello che faccio, dunque buona parte del mio tempo libero lo passo a studiare per capire cosa mi succede intorno, come cambiano le cose, per poter poi tradurre tutte queste informazioni in idee da riversare nel brand. Questo non esclude, però, anche un po’ di spazio da dedicare ad un buon libro. Non appena ne ho l’occasione, inoltre, viaggio.
Cosa sogni per il tuo futuro? E per quello di Blue of a Kind?
Per il mio futuro sogno di poter guidare un progetto di successo che dia significato pieno al concetto di economia circolare, senza tradire la magia del settore in cui opero, che possa magari superarne i confini, arrivando ad intercettare anche altri ambiti, ed essere così riconosciuto come un esempio di diverso approccio alla creatività. Per il futuro di Blue of a Kind, invece, di essere quel progetto.