Storie di moda

Tessuti 100% rigenerati: la tradizione si fonde con l’innovazione

Rifò è il virtuoso progetto di Niccolò e Clarissa. Gli scarti di tessuto si trasformano in nuovi abiti di qualità, nel pieno rispetto dell’ambiente in cui viviamo

di Elena Misericordia
04 Mar 2019 - 17:39
 © ufficio-stampa

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Fondato nel dicembre 2017, da Niccolò Cipriani e Clarissa Cecchi, Rifò produce capi di abbigliamento ed accessori di alta qualità, realizzati con fibre tessili 100% rigenerate. Questa giovane startup sta provando ad innovare l’industria della moda in chiave sostenibile. Non solo un brand, infatti, ma un progetto molto più ambizioso: un solido connubio fra la salvaguardia dell’ambiente e la tradizione plurisecolare della città di Prato, conosciuta in tutto il mondo per la sua arte tessile, che poggia le basi sul fragile quanto perfetto equilibrio di un grande tesoro, l’arte manuale.

Grazie ad un processo meccanico-artigianale, che risale ad oltre 100 anni fa, Rifò è in grado di trasformare gli scarti di tessuto in nuovi vestiti, che conservano le stesse qualità dei prodotti originali, riducendo sensibilmente la quantità di acqua, di pesticidi e di prodotti chimici utilizzati nella lavorazione.
In quest’ottica si inserisce anche il progetto Phoenix: almeno 300 kg di abiti usati in cashmere, da raccogliere su tutto il territorio italiano e a cui ridare nuova vita. Questo l’obiettivo con cui i giovani fondatori del brand puntano a coinvolgere i consumatori di tutta la penisola nell’applicazione pratica e attiva del modello di economia circolare basato, appunto, sul recupero di fibre tessili in ottica di riparazione, rigenerazione ed eventuale produzione di nuovi indumenti con materie prime seconde. Si accetta qualsiasi capo, dai maglioni alle sciarpe, fino ai calzini, ed in qualunque stato: che siano rotti, scuciti, tarmati o macchiati, qualsiasi abito potrà essere oggetto della raccolta. Ad un’unica condizione, che l’etichetta sia integra e indichi “100% cashmere”. Per poi in futuro estendere l’impegno anche alla lana e al cotone.
 
Rifò incarna la sinergia fra tecnologia, impegno sociale e rispetto per l’ambiente, ponendo l’attenzione su eleganza, qualità e cura per i dettagli. Da questa combinazione virtuosa tra artigianalità e tecniche d’avanguardia, a cui si aggiungono la creatività e una particolare attenzione alle risorse naturali, ri-nascono cappelli, guanti, sciarpe, poncho e coperte…un encomiabile sforzo imprenditoriale e creativo che mette al primo posto la salute del nostro pianeta.
 
Chi è Niccolò Cipriani? Quali sono le tue origini e qual è stato il tuo processo di formazione?
Sono una persona curiosa e aperta che cerca di trovare delle risposte alle domande che si pone. Mi sono sempre interessato all’economia e a cercare di capire le leggi che la governassero, per questo motivo ho deciso di conseguire una laurea in Economia Internazionale a Firenze e poi a Milano. Allo stesso tempo, ho coltivato la mia passione per l’estero, per le lingue e per i viaggi. A partire dall’età di 13 anni, ho iniziato a fare esperienze fuori Italia: mi incuriosiva conoscere nuovi paesi e tradizioni. E questo è qualcosa che mi porto ancora dentro, ad esempio mi diverto anche soltanto a partecipare ad una fiera internazionale. A livello professionale, mi ha sempre affascinato seguire progetti con budget e tempistiche da rispettare; per questo ho iniziato a lavorare prima per Expo 2015 come buyer, con tempi molto stringenti, e, successivamente, con un programma della Nazioni Unite ad Hanoi nella gestione di progetti di cooperazione e sviluppo.
 
Com'è nato il brand "Rifò - Sustenable Wear Project"?
Il brand Rifò nasce dalla mia recente esperienza di lavoro in Vietnam, dove ho constatato con i miei occhi il problema della sovrapproduzione che grava sul settore dell’abbigliamento. Le strade di Hanoi sono piene di negozi dal nome “Made in Vietnam”, che vendono tutti capi di abbigliamento prodotti in loco, esportati in Occidente, non venduti in Europa e rispediti nella terra d’origine per non abbassare i prezzi del mercato occidentale. A questo punto, gli indumenti vengono direttamente gettati in discarica o in un inceneritore. Nell’industria tessile si produce molto di più di quanto non venga realmente consumato. Alla luce di queste informazioni, mi è venuto in mente di riprendere una tradizione pratese, quella del rigenerare i tessuti, utilizzare tutti i vestiti che vengono smaltiti per ricreare un nuovo filato.
 
Non soltanto un brand, ma - come dice il nome stesso - un vero e proprio progetto, al centro del quale si pone il tema della salvaguardia del pianeta. In che termini possiamo parlare della tua come di una produzione sostenibile ispirata ad un modello economico etico?
 Nelle nostre produzioni cerchiamo di utilizzare principalmente scarti, quelli che molte persone purtroppo ancora definiscono “rifiuti”: montagne di vecchi vestiti che, se non recuperati, finiscono per essere inceneriti o accumulati come immondizie. Il nostro obiettivo è quello di rivalorizzarli, utilizzando un processo artigianale e tradizionale della nostra città, Prato, che ci permette di risparmiare acqua, coloranti e prodotti chimici durante la produzione, emettendo pochissima CO2.
 
Da dove deriva la tua passione per la moda che incontra il rispetto per l'ambiente?
Sono cresciuto in una famiglia impegnata per la maggior parte nel tessile. Pur non essendo un “perito tecnico tessile”, indirettamente ho sempre vissuto a contatto con il settore, iniziando a lavorare nella tintoria di mio zio d'estate, quando ancora frequentavo il liceo.  Rifò per me è stata l’occasione di nobilitare alti valori in cui credo, come quelli di sostenibilità e responsabilità, collegandoli al tempo stesso ad una tradizione della mia terra, che ultimamente ha attraversato un brutto periodo di crisi, soprattutto nel suo settore per eccellenza. Sembra strano e sorrido quando ci penso: dopo tanti viaggi ho capito che quello che cercavo si trovava proprio a casa mia…da lì è scattata la molla che mi ha portato a lasciare il “posto fisso” per lanciarmi in una nuova avventura, il mio nuovo “viaggio”.

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In cosa consiste la filosofia industriale del "Just in Time"? 
Cerchiamo di produrre con tempistiche rapide, ordinando piccoli quantitativi in maniera ripetuta, a seconda della domanda che riceviamo del mercato. In questo modo riusciamo a gestire il magazzino in maniera efficiente. Della collezione di questo inverno è rimasto, ad esempio, soltanto il 3% di quello che abbiamo prodotto. È il nostro metodo per evitare a nostra volta di creare sovrapproduzione.
 
Come hai raccontato, la vostra realtà produttiva sorge nel distretto tessile di Prato. Che importanza assume per te il Made in Italy? In cosa consiste il metodo meccanico-artigianale "a calata"?
Per noi la tradizione tessile di Prato è fondamentale, se non ci trovassimo qui non avremmo mai potuto realizzare il nostro progetto. Nel territorio troviamo competenza, disponibilità e tempi di risposta molto brevi. Quando abbiamo un’idea capiamo il giorno stesso se sarà fattibile oppure no, perché i nostri fornitori si trovano tutti in un raggio di 10km.  Il metodo a calata consiste nel tessere in maniera verticale anziché rettilinea, tagliando il tessuto sempre in verticale. Grazie a questa antica tecnica, raramente applicata in altri paesi, riusciamo a confezionare un prodotto di ottima qualità, creando pochissimo scarto.
 
Cashmere, lana e cotone rigenerati, quindi. Ma quali sono le caratteristiche essenziali dei tuoi capi di abbigliamento? Che cosa proponi?
I nostri capi sono senza timeless, nel senso che sono disegnati per durare nel tempo, per essere indossati di stagione in stagione ed essere portati tutti i giorni, quindi per essere di nuovo riciclati. Crediamo che creare uno stile duraturo, al di là delle tendenze del momento, sia un importante punto cardine per uno sviluppo sostenibile nel mondo dell’abbigliamento.
 
Come mai avete scelto di attribuire ai vostri capi nomi evocativi dei personaggi intramontabili del grande Cinema italiano ("Federico", "Luchino", "Anna"...)?
Ci piaceva l’idea di fare riferimento ad un’arte in cui il Made in Italy è ancora fortemente riconosciuto all’estero, e sicuramente il neo-realismo lo è. In origine, ad esempio, abbiamo attribuito ai nostri capi nomi di artisti del futurismo o dell’opera lirica. Cerchiamo sempre di collegare la nostra produzione all’arte italiana, che apprezziamo moltissimo e riteniamo sia stata fondamentale nello sviluppo culturale del nostro Paese
 
A quale pubblico vi rivolgete?
Ci rivolgiamo a persone che comprendono i concetti di sostenibilità e responsabilità, che sono curiose di provare nuovi prodotti e che condividano con noi la voglia di cambiamento. Vendiamo in Italia, ma soprattutto in Europa, che è già diventata quasi il 60% del nostro fatturato; diciamo quindi di avere un pubblico europeo.
 
In cosa consiste l'iniziativa #2lovePrato?
All’inizio di questa avventura ci siamo chiesti se fosse possibile allargare i benefici della nostra produzione al territorio dove questa avviene, così abbiamo dato vita a questa iniziativa, grazie anche alla collaborazione di tre fondazioni del luogo. I nostri clienti hanno la possibilità di destinare 2€ del proprio acquisto online ad uno dei tre progetti che coinvolgono la provincia di Prato. Ciascuno di essi ha un carattere diverso dall’altro: sociale, socio-sanitario e ambientale.
 
Chi è Niccolò nella sua vita privata? passioni e interessi nel tempo libero?
Mi piace camminare in montagna, giocare a pallanuoto, fare fotografie e guardare film (la mia ossessione). E poi amo viaggiare: appena riesco, parto con lo zaino in spalla alla scoperta di nuovi paesi e culture.
 
Cosa sogni per il tuo futuro? E per quello del tuo brand?
Nel mio futuro mi piacerebbe trasformare il progetto in un'azienda che porti dei benefici concreti al territorio in cui sono nato e cresciuto. Purtroppo negli ultimi anni ho visto un distretto florido andare in crisi e perdere le speranze. Mi piacerebbe, nel mio piccolo, e con il brand Rifò, rivalorizzare ed esportare in tutto il mondo le tradizioni e le competenze che solo il territorio di Prato custodisce preziosamente. Dal punto di vista personale, ho un sogno nel cassetto: mi piacerebbe partire per il Sud America e trascorrervi un anno intero…ne sono certo, prima o poi i sogni si avverano!

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