© Eric Benedusi /Ihaveatrip | In India
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A Tgcom24 Eric Benedusi, 42 anni, protagonista del progetto "Ihaveatrip", racconta la sua impresa: "Avevo tutto ma non mi sentivo felice, ora guarderò la vecchia vita con nuovi occhi e... ripartirò"
di Gabriella Persiani© Eric Benedusi /Ihaveatrip | In India
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Doveva durare due anni il suo giro del mondo in solitaria: tra imprevisti, Covid e scelte consapevoli alla fine l'impresa si chiuderà dopo quasi cinque anni e oltre 50 Paesi attraversati con un viaggio low budget. Era partito da Verona, dopo aver mollato tutto, un lavoro da tecnico informatico e una vita normale per un 37enne. "Era tutto perfetto, ma non mi sentivo felice e ho capito che dovevo inseguire il mio sogno di sempre e che ho raccontato su Ihaveatrip". Così Eric Benedusi, oggi quasi 42 anni, a Tgcom24 ripercorre la sua esperienza mentre si trova in Bolivia, a poche settimane dal rientro in Italia. Che non sarà definitivo: "Ripartirò senz'altro, inseguendo un po' il flusso delle emozioni come ho fatto finora. Abbiamo una sola vita ed è uno spreco non viverla a fondo". Intanto, tornerà cambiato, "e non solo fisicamente", come precisa. Ed è pronto a pubblicare un libro.
Il dream di Marthin Luther King si è trasformato in trip: com'è nata l'idea di mollare tutto?
"Ho iniziato a viaggiare da giovane e ho sempre visto l'idea del giro del mondo come qualcosa di magnifico, magico, ma anche troppo grande per me. Poi mi sono ritrovato a un certo punto della vita in cui, nonostante fosse tutto perfetto, non mi vedevo appagato, non mi vedevo felice. Sapevo che dovevo cambiare qualcosa, non sapevo però da dove iniziare. Così mi sono detto che forse era ora di partire per quel sogno, per quel viaggio che avevo lasciato in un cassetto per un bel po' di tempo".
Come si è preparato per affrontarlo?
"Faccio sport da sempre, non per particolari esigenze, agonismo o competizioni, ma perché mi fa star bene. Quindi la forma fisica era forse l'ultimo dei problemi da considerare. Mentre sulla preparazione mentale ho lavorato molto, perché una scelta del genere non si fa dall'oggi al domani. Si valuta tutto quello che può succedere nel bene e nel male, anche se poi l'ultima parola spetta sempre alla vita. Quando mi ero deciso a partire, iniziai a vendere e regalare tutto quello che possedevo e questa è stata veramente la spinta mentale più forte. Lo stato economico, non ultimo per importanza, era stato invece la scusa per la quale avevo rimandato. Ma mi accorsi che era solo una scusa: non esiste un bugdet perfetto per un'impresa del genere. Sarei allora partito e avrei trovato un lavoro una volta che ne avessi avuto bisogno e, infatti, così è stato".
Come ha organizzato il viaggio dal punto di vista logistico?
"Ho organizzato veramente pochissimo. Inizialmente ho solo richiesto il visto russo prima di partire e poi tutti gli altri visti Paese per Paese, seguendo un po' il flusso delle emozioni, i consigli degli altri viaggiatori, valutando il meteo e le stagioni e... eventuali crisi politiche. Non avevo scadenze di tempo e quindi programmavo solo pochi giorni prima: era sufficiente. E' stato un viaggio prevalentemente low budget, quindi, per la maggior parte, ho dormito in ostelli e sono stato ospitato a casa di gente locale, ho anche dormito in stazioni e panchine, ma sono anche capitate notti in hotel. Quindi direi un po' di tutto, come anche i trasporti: auto, treni, tanto autobus, navi, moto, aerei".
Cos'ha portato con sé?
"Su questo avevo un'idea che poi si è dimostrata funzionale. Praticamente dall'Italia non ho portato niente, direi. Nessun amuleto, nessun portafortuna, nessun oggetto in particolare. Anche i vestiti, li ho comprati tutti nuovi in giro. Tutte cose un po' tecniche che asciugavano rapidamente. Ho puntato sulla praticità. In Italia ho voluto di proposito vendere tutto prima di partire, quindi: auto, moto, abiti, televisore, lavatrice. Non ho tenuto nulla, perché sapevo che così facendo non avrei mai trovato la scusa di tornare a casa, se le cose fossero andate male. Non avendo più nulla in Italia e non avendo niente dove mi trovavo, l'unica strada era ripartire da dove mi trovavo. E' successo così in Thailandia, in Malesia e ha funzionato. Rientro ora perché è ora di tornare".
E' partito dall'Italia nel 2017: a che punto è di questa impresa?
"Sono partito il 30 agosto del 2017 da Verona con un autobus che mi ha portato a Berlino, prima tappa. Fra poche settimane sarò in Italia, credo a metà luglio, più o meno. A quel punto saranno quasi cinque anni consecutivi di viaggio, per un totale di 50 Paesi attraversati. Per la precisione 54".
Come e dove ha affrontato i due anni di Covid in giro per il mondo?
"E' una parte che mi piace molto del mio viaggio. Sono rimasto bloccato in Malesia per più di un anno, non potevo lasciare il Paese se non per tornare in Italia ed era un'opzione che non era prevista, non volendo tornare a casa. Quindi sono rimasto lì, solo che nel frattempo ho finito i soldi che avevo guadagnato lavorando prima in un ristorante in Thailandia e così ho avuto l'idea di provare a fare del gelato in casa. Lo vendevo al mercato cinese e i cinesi andavano pazzi per questo gelato di frutta, di durian. Dopo meno di tre mesi ho aperto un negozio in un centro commerciale della città di George Town, di fronte a Singapore, e avevo anche due ragazze locali che lavoravano per me. Poi però è arrivato ancora un altro lockdown, hanno chiuso tutto, bar, ristoranti e da lì sono volato in Messico per proseguire il mio viaggio".
Prossima tappa dopo la Bolivia, dove attualmente si trova?
"Mi trovo a Santa Cruz, la città industriale della Bolivia, nel Nord-Est del Paese, e fra pochi giorni volerò in Brasile a San Paolo, per l'ultima tappa del mio viaggio prima di atterrare poi in Europa e muovermi verso l'Italia per il rientro".
Quanto l'aiuta la tecnologia in questo viaggio? In altri tempi sarebbe andata diversamente?
"Sicuramente senza tecnologia il viaggio sarebbe stato diverso, non so dire se meglio o peggio, perché non c'è modo di paragone. Ma senza dubbio la connessione internet ovunque, il gps, le varie mappe sono strumenti utilizzatissimi da tutti viaggiatori con lo zaino in spalla. Poi ci sono tutte le app per prenotare gli alloggi, per cercare lavoro come volontario, per chiedere ospitalità gratuita nelle comunità di viaggiatori, i traduttori di qualsiasi lingua, aprire raccolte fondi, aderire a progetti sociali. E poi ci sono i social che spesso sono stati molto più utili a me che non a chi mi seguiva da casa, perché nei momenti più bui, non solo di noia, ma anche quando hai bisogno di una parola, i social mi hanno aiutato. Persino uno sconosciuto in quei casi può fare la differenza con un messaggio".
Chi o cosa le manca in questo viaggio dell'Italia?
"Dell'Italia potrei dire che mi manca tutto, anche se sapevo a cosa andavo incontro quando sono partito. Non c'è un Paese fotocopia e in primis, sicuramente, mi sono mancati cibo e vino, anche se mangio di tutto. Caffè anche. La veracità della gente, la nostra musica, a volte anche il clima. Mi manca tantissimo il Lago di Garda, dove vivevo prima della partenza, anche se sono originario del Mantovano. E poi mi mancano ovviamente famiglia e amici. Non vedo mio padre e mia madre da cinque anni. Eravamo rimasti d'accordo che se loro non fossero venuti a trovarmi, non ci saremmo rivisti prima, perché io non sarei rientrato per nessun motivo fino alla fine. E così è stato".
Tornerà in Italia un altro Eric?
"Sì, credo che tornerà un altro Eric. Sicuramente fisicamente, perché non ho più i capelli: sono partito che li avevo, adesso non li ho più. E credo di essere cambiato anche dentro. Vedremo che diranno i miei amici su questo, però un viaggio del genere che dura cinque anni non è una vacanza, è una scuola, è una lezione di vita impressionante e sarà interessante vedere come vedrò la mia vecchia vita con questi miei nuovi occhi una volta che sarò a casa. Me lo sono chiesto molto volte. Vedrò molti cambiamenti".
E poi che succederà?
"Sono certo che non resterò in Italia, non la sento come il mio Paese in questo momento e non ho un Paese nel mondo, nonostante nella mia vita ne abbia visitati un'ottantina, dove vorrei vivere per sempre. Quindi l'Italia ci sarà sempre, soprattutto per fare le vacanze un paio di mesi all'anno d'estate, sul Lago di Garda, appunto. Però mi piacerebbe vivere un po' tra l'America e l'Asia, dopo aver pubblicato il mio libro su questo viaggio".
Qual è stato il momento più bello?
"Difficile rispondere. In cinque anni di momenti belli ne ho avuti molti, fortunamente. Ne ho avuti anche di brutti, ma di più di belli. A quasi un anno di viaggio ho incontrato mio fratello in Sri Lanka, che è venuto a trovarmi ed è stato molto toccante. A due anni dalla partenza mi hanno raggiunto alcuni amici in Thailandia, mentre ero a lavorare in un ristorante. Erano una quindicina e sono volati da me per festeggiare il mio compleanno. L'apertura del negozio di gelato in Malesia è stato un sogno nel sogno e l'acquisto della moto in Messico per arrivare in Costa Rica. Sono un motociclista ma erano 4 anni che non avevo una moto mia: anche quella è stata una grande emozione. E poi la costruzione di un parco a Medellin, in Colombia: praticamente ho aperto una raccolta fondi su Instagram e in una settimana abbiamo costruito un parco giochi per bambini nelle favelas della Comuna 13. L'inaugurazione è stata una cosa spettacolare: vedere tutti quei bambini ridere, saltare, giocare".
Che messaggio lascia ai lettori?
"Dipende un po' dalle persone e dai momenti. Per quello che ho passato io posso dire che quello che ho fatto è la dimostrazione che tempo e soldi non fermano comunque i sogni che abbiamo. Se vogliamo raggiungerli, scuse non ce ne sono. Io sono partito che avevo quasi 37 anni, una vita perfetta, di quelle che ci si aspetta da un ragazzo della mia età, seppur senza gran risparmi in banca. Quanti soldi servivano per un giro del mondo così? Quanti ne servivano per un giro che doveva durare due anni, in realtà? Perché il budget che avevo considerato mi avrebbe concesso di viaggiare per due anni. Questa è stata davvero la cosa che più mi ha fatto sentire vivo nella vita ed è un'esperienza senza paragoni. Il mio consiglio è semplicemente di provare, di rischiare, di non aver paura di cadere, di sentirsi bambini e come loro, cadere, rialzarsi e tornare a giocare. Abbiamo una sola vita ed è uno spreco non viverla a fondo, a pieno".