Il risultato si deve a 160 ricercatori di tutto il mondo, anche italiani, che hanno impiegato tecnologie all’avanguardia
È stata finalmente completata la mappa del Dna dei primati: non ci sono più zone buie nei genomi di scimpanzé, bonobo, gorilla, oranghi e siamango e avere questo quadro completo apre nuovi scenari sull'evoluzione così come sulle relazioni fra gli esseri umani e gli altri primati.
Pubblicato sulla rivista Nature, il risultato si deve al lavoro di squadra di 160 ricercatori di tutto il mondo, compresi italiani dell'Università di Bari, coordinati dal dipartimento di Scienze genomiche della University of Washington School of Medicine a Seattle, negli Stati Uniti. Per la prima volta i genomi completi delle grandi scimmie sono stati letti da cima a fondo, senza errori o interruzioni, grazie a tecnologie all'avanguardia che hanno permesso di raggiungere un'accuratezza record.
"Si aprono scenari completamente nuovi per comprendere l'evoluzione della nostra specie e dei primati a un livello di dettaglio che fino a ieri era semplicemente impensabile", osserva Mario Ventura dell'Università Aldo Moro di Bari. "Disporre di genomi completi ci consente di esplorare regioni del Dna finora inaccessibili, quelle più complesse, ripetitive, e quelle coinvolte nei processi regolatori, nello sviluppo del cervello o nelle risposte immunitarie", prosegue Ventura. "I dati che abbiamo generato serviranno per decenni, aprendo strade promettenti nello studio delle malattie genetiche, del funzionamento del sistema immunitario e dei meccanismi cerebrali più profondi", conclude.
È una miniera di informazioni quella portata alla luce da questa ricerca, che ha permesso di individuare più di 3.000 nuove regioni del Dna che si sono evolute rapidamente lungo la linea umana, molte delle quali associate a geni importanti per funzioni complesse come lo sviluppo cerebrale e la vocalizzazione. Sono venuti alla luce anche migliaia di geni finora sconosciuti, anche questi coinvolti nell'evoluzione del cervello umano e diventa possibile stabilire che esseri umani e scimpanzé hanno separato le loro strade evolutive tra 5,5 e 6,3 milioni di anni fa. Non si tratta solo di nuove conoscenze, ma di strumenti che in futuro potrebbero aprire la strada a nuovi studi sulle malattie genetiche e immunitarie, come sui meccanismi evolutivi legati al cervello e al linguaggio umano. Come sottolineano gli autori della ricerca, questa nuova base genomica sarà una risorsa fondamentale per decenni, destinata a rivoluzionare il nostro modo di studiare l'evoluzione.