© Tgcom24
© Tgcom24
Il fenomeno dei nomadi digitali ha preso piede in tutto il mondo ed è in costante crescita. A Tgcom24 la testimonianza di una 50enne: "Peccato che in Italia non sfondi, far capire ai brand nostrani che vai via per due mesi ma che comunque continui a lavorare non è facile"
di Giorgia Argiolas© Tgcom24
© Tgcom24
Lavorare viaggiando. Viaggiare lavorando. È la filosofia dei nomadi digitali o remote worker , persone che "di base amano lavorare e hanno la fortuna e, soprattutto, la volontà di poter svolgere la loro professione - aziende permettendo - da qualsiasi parte del mondo, vivendo in co-living space , case attrezzate come uffici, Wi-Fi super veloci, sale riunioni, stampanti e tutto il necessario per lavorare", spiega una di loro, Grazia Zuccarini , che Tgcom24 ha intervistato.
Il fenomeno è in costante crescita , soprattutto dopo che la pandemia ha sdoganato il lavoro agile. Come riporta il sito nomadidigitali.it , secondo quanto emerge da un rapporto pubblicato a settembre 2021 dal portale Brother Abroad , oltre 35 milioni di persone si limitano digital nomad . Durante e dopo la pandemia, sono stati creati anche dei visti ad hoc: oggi sono più di quaranta i Paesi che lo concedono (secondo certi requisiti). "Imparare a lavorare viaggiando è una grande cosa. Ti cambia la vita .Peccato che in Italia il fenomeno non sfondi, far capire ai brand nostrani che vai via per due mesi ma che comunque continui a lavorare non è facile", spiega Zuccarini, 50 anni, origini umbre, ma milanese d'adozione, che lavora come esperta di relazioni pubbliche e comunicazione globale per diverse aziende.Ecco la sua testimonianza.
Tutti possono diventare nomadi digitali? Venire? È una decisione che si concorda con l'azienda?
Dipende dall'azienda per cui si lavora e dalla professione che si svolge. Spesso i nomadi digitali sono startupper, cioè persone che hanno la propria start up e che quindi sono liberi di lavorare da dove vogliono. Questo "movimento" si collega un po', anche se è nato prima, a quello della Grande Dimissione (grandi dimissioni). Tanta gente si è stufata di lavorare in azienda, stare in ufficio e fare turni assurdi e ha deciso di creare la propria start up e lavorare da qualsiasi parte del mondo. Un fenomeno che è esploso durante la pandemia. Basti pensare che nel 2020, in pieno Covid, Barbados ha inventato il visto per digital nomad, che permette di stare lì un anno, ovviamente garantendo di avere un certo guadagno mensile per poter effettivamente pagare le spese mentre si soggiorna nel Paese.
Perché ha scelto di diventare un nomade digitale? Può raccontarci la sua esperienza?
Nel 2019, dopo 23 anni di tesserino timbrato in azienda nei quali mi sono occupata di pubbliche relazioni e comunicazione globale (ho lavorato per aziende come Ferragamo, Dolce&Gabbana e Shiseido), ho deciso di prendermi un anno sabbatico, di rimettermi a studiare e inseguire il sogno di sempre: quello americano. Mi ero stufata di stare in azienda ea Milano. Così, ho lasciato il capoluogo lombardo e mi sono trasferita a Los Angeles, dove ho preso un master all'Università della California. Abitavo in un monolocale che avevo trovato su Airbnb. Ai tempi, non avevo idea esistessero i nomadi digitali, il fenomeno non era diffuso come ora. Poi la pandemia, il lungo divieto di viaggio imposto da Biden per possessori di visti di lavoro come il mio (per la precisione, il mio è un talent visa, riconosciuto a chi, per la sua storia professionale, si ritiene possa trovare quasi sicuramente lavoro) e finalmente nel 2022 il ritorno a Los Angeles. Nel frattempo, avevo ripreso a lavorare come consulente per diverse aziende con sede in Italia.
Come nel 2019, ho cercato un alloggio su Airbnb ma qualcosa era cambiato. Ho trovato una moltitudine di annunci di co-living space o house/office per digital nomad. Mi si è aperto un mondo: ho inizio a informarmi e ho scoperto che proprio durante la pandemia e grazie alla stessa, il mondo del lavoro e il modo di vivere sono cambiati (almeno fuori dall'Italia). Così, ho deciso di unirmi al "movimento/trend dei digital nomad".
Cosa sono i co-living space e come si vive in quegli ambienti?
Si tratta di belle case con almeno 5-6 stanze (di base, solo una, la più cara, con bagno privato), attrezzate come uffici, nelle quali arrivano continuamente persone di tutte le nazionalità, soggiornano per un po' e poi ripartono. Se una persona fa parte di una community di nomadi digitali come me - la mia si chiama "Outsite" - può spostarsi continuamente in ogni parte del mondo, sempre continuando a lavorare, e non è mai sola. All'interno dei co-living space , ognuno ha i propri fusi orari. Nell'ultima casa in cui sono andata, ad esempio, mentre facevo le riunioni con le cuffie, un altro nomade digitale faceva yoga con i pesi.
© Outsite
© Outsite
Gli spazi comuni sono gestiti con regole ferree. Nel frigorifero, per identificare il cibo, è necessario applicare delle etichette con il proprio nome su ogni confezione. Per entrare vengono forniti dei codici, perché le chiavi non si usano più. Una volta alla settimana, la community manager crea eventi di socializzazione per integrare i nuovi arrivati. L'età massima per entrare a far parte di queste comunità è piuttosto bassa: 55 anni. Ora, si stanno creando anche community ad hoc per le famiglie che vogliono abbracciare questo stile di vita (con relativi programmi di inserimento scolastico per brevi periodi per i bambini). Esistono, inoltre, app dedicate per eventi e anche dating app ad hoc come Nomads Soulmates. L'organizzazione di questo fenomeno è favolosa. Il bello è che ci si ritrova in qualsiasi parte del mondo.
Adesso sto partendo di nuovo, andrò ancora in una delle case della community di "Outsite" a Los Angeles, e potrei condividere gli spazi con qualcuno che ho già incontrato. La sensazione di tornare a casa in un Paese straniero e complicato come l'America, aprire la porta del posto dove vai a vivere e trovare qualcuno che già conosci è bellissima. Continuerò a lavorare, incontrerò nuove persone, farò lezioni di surf all'alba e di yoga al tramonto.
Come hanno reagito le aziende per cui lavora al suo essere un nomade digitale ?
La capa di un'azienda per cui lavoro non mi ha detto assolutamente niente, anzi si è illuminata quando le ho raccontato del mondo dei digital nomad. Invece, le altre imprese mi hanno fatto un sacco di storie all'inizio, pur essendo consulente esterno e non dovendo andare in azienda. Dico la verità, far capire ai brand che vai via per due mesi ma che comunque continui a lavorare - io mi sveglio alle 3.30 di mattina per essere operativa nel pomeriggio italiano - non è facile. Gli italiani sono abituati a vederti sempre presente in ufficio. Quindi capisco la riluttanza. Tuttavia, nel resto del mondo lavorare a distanza è diventato la normalità. Le aziende hanno capito che risparmiano e che è importante viaggiare e lavorare insieme, tra l'altro è stato dimostrato che con questa modalità la produttività aumenta. Imparare a lavorare viaggiando è una grande cosa. È un sacrificio - basti pensare alla sveglia alle 3.30 - però ne vale la pena. Peccato che in Italia questo fenomeno non sfondi.
Quindi secondo lei l'Italia non è pronta ad abbracciare questo fenomeno in "uscita". E in entrata?
Nemmeno. L'Italia non è pronta ad accogliere stranieri che vengono a lavorare qua. Le materie prime per il lavoro a distanza sono un Internet super veloce e una connessione garantita. E in certe nostre zone mancano.
Conta di fare la nomade digitale per tutta la vita?
No, tutta la vita non credo. Spostarsi sempre è pesante, così come i fusi orari. Lo dimostra il fatto che la maggior parte dei nomadi digitali è giovane. Io poi mi posto sempre tra Milano e Los Angeles. Da Los Angeles se posso vado in Nicaragua o in Costa Rica, ma per una settimana. Ora ho aperto la mia agenzia di comunicazione in Italia e ho clienti anche in America. Voglio essere un nomade digitale con una base e vorrei che chi si affida a me accetti il fatto che io possa viaggiare continuamente.
Perché consiglierebbe di diventare un nomade digitale?
Perché partire e andare all'estero è una grande risorsa. Ti cambia la vita. La possibilità di conoscere, di vivere con altre persone di cui non sai niente, di abituarti a condividere gli spazi è una grande ricchezza. Parli continuamente, pratichi la lingua. Lo consiglierei in particolar modo ai giovani italiani. Insegno all'Università e vedo che tanti ragazzi dopo gli studi non sanno cosa fare, non sanno dove sbattere la testa. Ecco, perché non inventarsi la propria start up e vivere all'estero come digital nomad ? Certo, non tutti possono permetterselo, però ci sono anche delle zone dove è possibile stare senza spendere tanto.L'America è un po' più complessa perché lì non esiste il visto ad hoc per nomadi digitali. È più rigida. Mentre ci sono delle altre nazioni che permettono di rimanere un anno e poi rinnovare. Ci sono tantissimi giovani che, per esempio, stanno facendo attività in Portogallo. Insomma, consiglierei mille volte di fare questa vita.