VITA DA INUIT

Ai confini del mondo, come vivevano gli eschimesi cento anni fa

Dalla caccia ai trichechi alla costruzione degli igloo, nel corso dei secoli gli Inuit hanno cambiato ben poco delle loro abitudini

07 Feb 2017 - 10:04

Il loro nome deriva dall'algonchino, una lingua indiana, e significa "fabbricatori di racchette di neve" o, secondo alcuni, "mangiatori di carne cruda". Loro però amano definirsi Inuit, vale a dire "uomini veri". Da quando, circa seimila anni fa, hanno iniziato le migrazioni verso l'odierna Alaska, gli eschimesi hanno cambiato ben poco le loro abitudini. Una raccolta di foto dei primi trent'anni del Novecento testimonia questa loro capacità di conservare praticamente intatte le loro usanze e i loro costumi millenari anche in età contemporanea.

Dalla caccia a foche e orsi polari alla costruzione degli igloo, le popolazioni del Grande Nord rappresentano un "tesoro" etnografico scoperto abbastanza tardi da noi occidentali. Va tuttavia precisato che il termine "eschimesi" rappresenta il macro-insieme degli abitanti protoindiani dall'Artide, distribuiti in diversi Stati (Alaska, Canada, Groenlandia). Gli Inuit, come anche il ceppo degli Yupik, sarebbero un "ramo" del popolo eschimese.

Il ritratto fotografico di un popolo senza tempo - All'inizio del Novecento, gli eschimesi erano ancora un popolo quasi sconosciuto. Vissuti per secoli in un isolamento quasi totale, gli Inuit cacciavano e vivevano sul permafrost, si spostavano su slitte e kayak, abitavano in "case di neve" e non conoscevano la proprietà privata né la gerarchia sociale. Gli scatti realizzati da fotografi americani ed europei immortalano individui considerati "primitivi" agli occhi dell'uomo occidentale. Niente strade, ferrovie o moderni mezzi di trasporto, nessuna tradizione scritta, nessuna moneta.

Il mondo scopre gli eschimesi - I primi contatti con gli europei risalirebbero al XVI secolo, ma la vera "conoscenza" degli eschimesi si verificò nel 1742, anno in cui gli occidentali scoprirono lo stretto di Bering. Nel regno dei ghiacci, però, misero piede per primi i vichinghi islandesi intorno al 980. Secondo le saghe, fu Erik il Rosso a condurre il suo popolo nella "Terra verde" (da qui il nome Green Land, da cui deriva Groenlandia), insidiandosi nella parte sud-orientale. Questa colonia portò avanti con l'Europa (e con il Papato in particolare) il commercio soprattutto delle pelli e dell'avorio delle zanne dei trichechi. Secondo gli storici, per procurarsi queste merci i vichinghi fecero spedizioni di caccia più a Nord.

Contatti con i vichinghi - Sarebbero state queste le prime occasioni di contatto tra le due popolazioni. Gli Inuit colonizzarono la Groenlandia provenendo dal Canada artico. Nonostante qualche episodio di ostilità, il primo incontro deve essere stato amichevole grazie agli scambi commerciali: gli eschimesi offrivano corde di pelle di foca e avorio, che in seguito divennero merci molto richieste e apprezzate in Europa. Secondo alcuni studiosi, è possibile che si svolgesse anche il commercio dello stoccafisso (merluzzo essiccato). Di contro c'era l'estrema pericolosità del viaggio tra le acque artiche, colme di insidie (iceberg, nebbia).

Un popolo in serio pericolo - Attualmente la cultura e la stessa sopravvivenza degli eschimesi sono fortemente minacciate dallo sfruttamento delle risorse naturali e dai cambiamenti climatici, nonché dalla maggiore influenza della cultura e degli stili di vita occidentali. Un mix letale che ha portato le popolazioni modificare progressivamente i propri stili di vita, perdendo di fatto il contatto con le proprie radici. Da qui l'osservazione, da parte degli esperti, di un'evidente alienazione sociale che si manifesta con alti tassi di alcoolismo e di suicidio. Anche la campagna di Greenpeace, che ha portato al divieto della caccia alle foche, ha danneggiato moltissimo gli eschimesi: così è venuto infatti a mancare il loro principale mezzo di sostentamento, che per secoli ha rappresentato la "chiave" della sopravvivenza in un ambiente estremo e inospitale.

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