PlayStation: 50 giochi che hanno fatto la storia della console
© Ufficio stampa | Ape Escape
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Dalle partite senza salvare in Resident Evil 2 ai pomeriggi trascorsi in compagnia di WipEout: riviviamo i momenti più belli regalati dalla prima console di Sony
25 anni fa debuttava sul mercato giapponese PlayStation, la prima console domestica di Sony arrivata in un momento storico in cui Sega e Nintendo sembravano non lasciare il benché minimo spazio a terzi incomodi. Eppure, nonostante l'egemonia dei due colossi nipponici, il team capitanato da Ken Kutaragi non si è lasciato intimorire e ha sfornato una console pensata per favorire la creatività e stimolare l'innovazione.
PlayStation sarebbe arrivata in Italia solo nel settembre dell'anno successivo, conquistando anche molti dei ragazzi che, più di vent'anni dopo, sono qui a scrivere sulle pagine di Tgcom24 e Mastergame.
Abbiamo pensato di festeggiare il primo quarto di secolo di PlayStation con un omaggio individuale, un ricordo di ciò che ha caratterizzato maggiormente il nostro legame con la console di Sony e i suoi giochi.
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Alessandra Borgonovo
PlayStation non è stata la mia prima console ma è quella a cui ho finito per affezionarmi di più, così importante per me da avermi definito come videogiocatrice: essendo bambina quando uscì, i videogiochi che provavo erano spesso e volentieri semplici, ad esempio classici Disney come Hercules o Tarzan, ma non mancavo di alzare l'asticella della sfida. Nonostante raccogliesse titoli di spessore come Resident Evil o Tomb Raider, se devo parlare di un gioco che mi ha affascinato il pensiero va a Klonoa: Door to Phantomile.
Ovviamente ero troppo piccola per giudicarlo come potrei fare adesso ma ricordo molto bene il gioco del 1998 firmato Namco come un'esperienza affascinante, impegnativa quanto basta da non rendersi proibitivo per un bambino e con un level design per certi versi molto intelligente. Sono tanti gli aspetti che lo distinguono dalla massa dei platform e per i quali non dovrebbe mancare nella collezione di ogni appassionato ma in Occidente non ha avuto molto successo, trovandosi coinvolto nella corsa al 3D che ha lentamente lasciato indietro i titoli più ibridi come questo. È un peccato perché sebbene non abbia ancora capito che tipo di figura sia Klonoa (un cane, un gatto, forse addirittura un coniglio o un misto dei tre) ritengo sia una delle esperienze più divertenti e stimolanti dei miei primi anni come videogiocatrice.
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Alessandro Apreda
C’era un tempo in cui Square 1) non si chiamava ancora Square-Enix, 2) non produceva solo GdR con ragazzini e Paperino, ma anche shmup, picchiaduro e giochi di wrestling, e 3) spesso questi spaccavano. Di brutto. Einhänder (in tedesco “con una mano”, visto l’arto prensile che caratterizza le navette del gioco) è semplicemente la forma più sublime di sintesi tra attività sparacchina e musica techno/electro. La devastante colonna sonora di Kenichiro Fukui, che valeva da sola l’acquisto del gioco, trascina martellante in un mondo di pura azione blastatoria 2D (la terza dimensione viene infatti esplorata solo da alcuni missili a ricerca e movimenti di camera).
Una gestione intelligente del sistema di armamenti, boss da mascella al suolo, tonnellate di effetti, un livello di difficoltà che ancora non ha conosciuto la deriva bullet-hell che avrebbe imboccato di lì a poco il genere degli shoot’em up, fanno di Einhänder uno dei migliori sparatutto di tutti i tempi. Una perla per tutti i collezionisti di giochi PSone, anche se purtroppo uscita ai tempi solo sul mercato giapponese e su quello statunitense.
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Andrea Minini Saldini
Da caporedattore della rivista ufficiale PlayStation ebbi la fortuna di poter provare all'incirca tutto quanto giunse sul mercato in quegli anni. Facile, quindi, cadere vittima di una sorta di "sindrome di Stendhal" nel tornare con la memoria a quegli anni.
Nel mio caso, però, un titolo si erge con relativa facilità fra le moltitudini. Wipeout 2097, nel 1996, rappresentava al meglio tutto quello che PlayStation era in grado di regalare. Grafica, musica, adrenalina, stile. Una giocabilità nettamente superiore a quella del suo predecessore rappresentava la classica ciliegina sulla torta, per IL gioco che mostravo agli amici per far capire loro i passi avanti che i videogiochi avevano compiuto, nel giro di una manciata d'anni.
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Francesca Guido
Quando è arrivata la "Play", ero un’assidua e fedele PC gamer. La maggior parte dei miei ricordi hanno a che fare con lunghi pomeriggi in cui restavo in attesa, caricando floppy su floppy, prima di riuscire finalmente a giocare ai miei videogiochi preferiti. Quindi è arrivata lei a sconvolgere i miei piani videoludici, piccola e discreta, con i suoi scintillanti CD. L’avevo vista a casa di un compagno di scuola e mi aveva subito incuriosito. Ricordo solo che dopo qualche giorno mi salutava col coperchio aperto sul vetro del mio mobile porta TV pronta a partire. Anzi, a farmi partire con la testa, visto che uno dei primi giochi in cui mi cimentai fu Resident Evil.
Ho giocato per due giorni senza mai salvare, mettevo in pausa solo per scappare in bagno, buttar giù un boccone o non sentire i miei gridare dall’altra stanza perché stavo tirando troppo la corda. So solo che, ogni tanto, vedo ancora qualche zombi aggirarsi per i corridoi di casa come allora, e la cosa mi fa sorridere. Quindi grazie PlayStation, per aver custodito gelosamente ricordi preziosi e divertenti in una Memory Card lunga 25 anni.
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Gian Luca Rocco
Venticinque anni? E come è potuto succedere? Chi mi ha rubato un quarto di secolo? Ricordo perfettamente il giorno in cui la Playstation entrò nella mia vita. Ero un videogiocatore fatto e finito, reduce già allora da una dozzina di anni di Colecovision, Commodore 64, Amiga, Super NES, PC, Game Boy, con una spruzzata di Game Gear, Mega Drive e più o meno qualunque cosa prevedesse un joystick, un joypad o una monetina da inserire.
Alla PlayStation non sono arrivato subito, ma un paio di anni dopo l'uscita in Italia. Non un momento facile della mia vita: avevo 20 anni, i capelli lunghi e avevo da poco subito un grave lutto. Però, da quel momento, fu un rapporto stretto e duraturo. Una compagna per tutti gli anni dell'Università che terminò, nemmeno a dirlo, con l'acquisto della PlayStation 2 che mi ha accompagnato nella mia seconda vita (ma è un'altra storia). Quel giorno non ne comprai una, ma due: una per me, una per il mio "cognato" di allora. Due Play (modificate ehm ehm, una per funzionare doveva andare a testa in giù!), Dual Shock, memory card e una bocca che rimase spalancata già dal menu di avvio.
Troppi i giochi che ho amato, ne cito tre: Final Fantasy Tactics (forse quello a cui ho speso più ore), Winning Eleven (che poi divenne Pro Evolution Soccer) e, ovviamente, Gran Turismo, che preferivo guardare piuttosto che giocare in prima persona, causa grave inabilità con le simulazioni di guida. Passavo le ore a casa della mia fidanzata ad ammirare mio cognato prendere patenti d'oro come se non ci fosse un domani, anticipando in qualche modo una tendenza di oggi. Ogni curva, era un'emozione. Così come ogni gioco, ma anche ogni salvataggio che si corrompeva nella memory card non ufficiale. Erano altri tempi. La fidanzata non c'è più e, per fortuna, anche la memory card. Resta la PlayStation: lunga vita alla PlayStation.
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Giovanni Marrelli
Se avessi l'opportunità di cancellare la memoria e riscoprire un videogioco con lo stesso stupore di un tempo, quel gioco sarebbe certamente Metal Gear Solid, l'opera di Hideo Kojima che, già all'epoca, fu capace di stregarmi con un'avventura indimenticabile. Non a caso, quando si tratta di pensare a PlayStation, la prima immagine che mi viene in mente è quella di un giovane Solid Snake impegnato a infiltrarsi nella base di Shadow Moses.
Ai tempi non possedevo ancora PlayStation, ma ricordo chiaramente che fu Metal Gear Solid a spingermi all'acquisto della console di Sony: i primi tentativi (chiaramente falliti!) di esplorare la base senza farmi scoprire, gli istanti trascorsi a spiare di nascosto Meryl, la prima boss fight contro Revolver Ocelot, le piccole o grandi trovate geniali di un designer che ha sempre voluto distinguersi, i continui tentativi di rompere la quarta parete (ah, quanto ho amato lo scontro con Psycho Mantis!): questo era - ed è ancora oggi - Metal Gear Solid.
Sono emozioni che ho vissuto da ragazzo e che ho riscoperto quando, grazie a PlayStation Classic, ho riaffrontato le gesta di Solid Snake in compagnia di mio figlio, rivedendo in lui le mie stesse reazioni, quello stesso senso di meraviglia e stupore di fronte alle folli idee di Kojima. Il merito è tutto tuo, PlayStation. La stessa PlayStation che ho ritrovato nel laboratorio di Otacon, la stessa console che ha cambiato per sempre il mio rapporto con i videogiochi. Grazie di tutto, mia piccola amica: ci rivediamo tra altri venticinque anni!
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Mattia Ravanelli
Cresciuti nella migliore ipotesi con le pubblicità di Jerry Calà e Jovanotti, con Mega Drive e NES spinti come versioni glorificate di giocattoli al pari di un Emiglio Robot, l’arrivo di PlayStation è equivalso a una sorta di meteora che sconvolge il clima ed estingue chi c’era prima. Anche se non soprattutto in Italia, e più in generale in Europa, la prima console di Sony calò con la sicumera e l’arroganza di chi non vuole fare prigionieri. Non ne fece. Per me fu un lungo e appassionante avvicinarsi al fatidico PlayStation Friday (il 29 settembre 1995 che sanciva la disponibilità ufficiale anche in Italia), a partire dal dicembre del 1994, quando la distribuzione in Giappone iniziò a far capire anche da noi di che pasta fosse fatta la scommessa della multinazionale del Walkman.
Il mio primo vero gioco e quindi uno di quelli a cui per forza di cose sono rimasto più affezionato, è Battle Arena Toshinden. Un picchiaduro a incontri, come esigeva il periodo. Non il migliore e neanche uno di quelli che, più in generale, sarebbero rimasti incastonati nella storia. Ma aveva un senso: la realizzazione tecnica sopraffina chiarì immediatamente la caratura tecnica di PlayStation e, volendo, anche la capacità di Sony di selezionare con chi lavorare. Questione poi rimarcata con puntualità inattaccabile dalle produzioni di Psygnosis per il lancio europeo (WipEout e Destruction Derby). Potenza e strategia insomma, per un inizio da brividi.
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Simone Soletta
Avevo già un PC bello carrozzato ai tempi dell’uscita della prima PlayStation, e francamente pur avendo seguito con attenzione la genesi della prima console di Sony, ammetto di averla accolta con una certa supponenza. In fondo, avevo già una piattaforma da gioco di alto livello, e questa cosa del produttore di televisori - bellissimi, per carità - che si mette a fare i videogiochi la accolsi con un sopracciglio alzato da far invidia ad Ancelotti. Poi, però, mi trovai al solito negozietto di videogiochi, uno di quelli che non esistono quasi più e il cui titolare diventava amico, confidente e al tempo stesso spacciatore di novità. E la vidi. Ma, soprattutto, vidi Wipeout, e la nuova console mi colpì con la forza di un gancio in piena faccia.
Come si muoveva, Wipeout! Velocissimo, quasi da star male. E come suonava, Wipeout, con la colonna sonora incalzante, fatta di pezzi veri, potenti, protagonisti insieme a quei percorsi fuori di testa, a quelle auto-astronavi coloratissime, a quell’aggiornamento su schermo impensabile. Provai anche a giocarci, a Wipeout, e capii anche perché non era proprio il caso di prendere in giro le corna del controller di PlayStation: era perfetto, ergonomico, fatto per scomparire tra le mani e connetterti direttamente al gioco, bastavano pochi istanti e non potevi più farne a meno. Insomma, nel giro di pochi minuti PlayStation divenne qualcosa da avere per forza, qualcosa che un appassionato di videogiochi non poteva ignorare, e da allora non è mai mancata una PlayStation collegata al mio televisore.
© Ufficio stampa | Ape Escape
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