LA NOSTRA RECENSIONE

PlayStation Classic, il ritorno di un mito tra aspettative e realtà

Abbiamo messo le mani sulla riedizione in miniatura della storica PlayStation, rivivendo venti vecchie glorie del passato

27 Nov 2018 - 17:00
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Dopo la moda lanciata da Nintendo con le sue mini console ispirate a NES e SNES, era solo questione di tempo prima che anche Sony proponesse un'operazione simile. PlayStation Classic è una riproduzione in miniatura della prima, storica console a sfoggiare il marchio PlayStation, e rappresenta in sé e per sé un oggetto suggestivo, curioso e interessante. La classica operazione nostalgia, con cui la casa giapponese vuole permettere a una nuova generazione di giocatori di scoprire alcune delle produzioni più amate di quest'industria.

Una raccolta di 20 classici che non ha mancato di far discutere (d'altronde, accontentare tutti era pressoché impossibile) ma che offre una discreta varietà di esperienze, con qualche titolo di assoluto rilievo come ad esempio Final Fantasy VII e Metal Gear Solid, ma anche qualche proposta di cui avremmo fatto volentieri a meno.

Il lavoro di Sony nel riproporre una versione in miniatura di un prodotto così amato è stato semplicemente impeccabile: PlayStation Classic è soddisfacente per qualità delle rifiniture e materiali utilizzati, tanto nella piccola console quanto nel controller, che riprende in maniera pressoché integrale quello che abbiamo conosciuto prima dell'arrivo del Dual Analog/Dual Shock. Le dimensioni dello chassis, come potete immaginare, sono estremamente ridotte: si parla del 45% in meno rispetto al modello originale, ma nonostante ciò c'è davvero tutto, anche complice l'essenzialità delle linee e dei dettagli della console originale. Il vano per i CD naturalmente non può essere aperto, ma tutti e tre i pulsanti sulla console funzionano e sono caratterizzati da un "click" che ricorda quello con cui abbiamo trascorso centinaia di ore tanti anni fa.

Le prese sul retro si limitano alla porta micro-USB destinata all'alimentazione (che necessita per forze di cose di essere collegata direttamente alla rete elettrica e non a una semplice presa USB) e all'uscita HDMI per l'audio e video in alta definizione. Lo sportellino di espansione è prevedibilmente finto, il logo di PlayStation non è per fortuna una semplice stampa colorata e il blocco a cui collegare i due controller inseriti nella confezione è stato ripensato per adeguarsi alla natura USB del cavo dei controller stessi. A proposito di controller, è bene sottolineare ancora una volta che come nel caso degli originali, non potrete utilizzarli senza filo e che dovrete dunque posizionarvi a breve distanza da PlayStation Classic, visto che il cavo non va oltre il metro e mezzo. È comunque preferibile avere la mini-console sempre piuttosto vicina, dal momento che l'unico modo per accedere alla schermata di selezione dei giochi è attraverso il pulsante Reset, proprio come proposto da Nintendo nelle sue mini-console.

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A livello software, PlayStation Classic non include alcun extra rispetto ai venti giochi inclusi nella memoria: non ci sono filtri grafici, né funzioni particolari di alcun tipo, a eccezione di una Memory Card virtuale che può essere utilizzata per ogni singolo gioco. Il menu principale si rivela piuttosto essenziale, con manuale digitale per ciascun gioco che potrete richiamare attraverso un codice QR tramite smartphone o tablet.  Ogni volta che premete il tasto Reset lo stato della partita viene salvato automaticamente, tuttavia essendo solo uno lo slot disponibile per il salvataggio rapido, il sistema chiederà ogni volta se intendete sovrascrivere il salvataggio già esistente. Si sarebbe di certo potuto fare un po' di più, dal momento che altre console del genere offrono più di uno slot rapido per i salvataggi, ma se ci si affida alle Memory Card virtuali i problemi di spazio scompaiono del tutto.

Della line-up abbiamo già parlato, presentandovi tutti e 20 i protagonisti uno dopo l'altro. Dopo aver speso alcuni giorni a girovagare tra le avventure e i ricordi, è comunque impossibile valutare in maniera definitiva e senza mezze misure quanto proposto da PlayStation Classic: la selezione proposta da Sony dà l'idea di quello che è stata la console originale, ovvero un dispositivo in grado di tramutare in immagini e suoni tutto e il contrario di tutto. Dall'immenso gioco di ruolo giapponese alle gare sfasciatutto inglesi, dagli sparatutto a stelle e strisce alle avventure punta e clicca, dall'orrore alla fiaba, dalla simulazione all'interpretazione più semplicistica possibile della medesima materia. Una selezione piuttosto varia, che però ha anche il demerito di spazzare via con prepotenza i ricordi d'infanzia a cui ci aggrappiamo ogni qualvolta si pensa alle pietre miliari di un tempo.

PlayStation Classic mostra infatti tutta l'inadeguatezza della cruda grafica di un tempo rispetto all'era moderna, e in questo caso riprodurre un gioco come Ridge Racer Type 4 su uno schermo in Full-HD o 4K è quasi un pugno in un occhio, specialmente senza filtri grafici ad ammorbidire quelle linee spigolose e poco aggraziate di una volta. Per ogni momento di esaltazione c'è come minimo un mezzo incidente ferroviario da cui riprendersi, che nel caso del racing corrispondono a font al limite del leggibile, un'immagine generalmente tanto confusa quanto demoralizzante e qualche rallentamento che onestamente fatichiamo a ricordare nella versione originale di vent'anni fa.

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Ovviamente ci sono le dovute eccezioni: Tekken 3 è ancora ampiamente giocabile, per quanto appaia in tutto e per tutto (e comprensibilmente) come un lontano parente dei picchiaduro di oggi: quando la telecamera si avvicina a inizio match rendendo lampante l'effetto "scatola di cartone colorata" delle arene (gli enormi quadratoni caratterizzati da texture a simulare i fondali/gli ambienti), viene da aggrapparsi forte alle memorie e chiudere un occhio e mezzo.

Va meglio con Metal Gear Solid, un titolo la cui classe e la potenza evocativa non temono più di tanto il passare degli anni, e un capolavoro come Final Fantasy VII, di fronte al quale è difficile storcere la bocca: pur con i suoi fondali stiracchiati in maniera un po' crudele e sgraziata, quell'introduzione, quella colonna sonora, quegli scambi iniziali tra Cloud e i futuri compagni di avventure faranno intenerire anche il più glaciale dei fan di PlayStation. Pessimo il risultato per tutti quei giochi che, oltre a Ridge Racer Type 4, sfruttano sequenze in computer grafica a risoluzione ormai infamissima e impresentabile. Tra questi ci sono Cool Boarders 2 e l'originale Rayman, ma anche Revelations: Persona. Discutibile, infine, la scelta di inserire due prodotti come Syphon Filter e Rainbow Six: in questo caso, non sono solo i problemi estetici, ma anche i limiti di un game design che stava solo cominciando a prendere le misure agli ambienti e alle interazioni in 3D e che al giorno d'oggi risultano difficilmente gestibili senza controller dotati di stick analogici.

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Non potevano certo mancare i puzzle, probabilmente la parte più riuscita di questa PlayStation Classic: quando ci si muove in 2D o su schemi di gioco e visivi tutto sommato più semplici, allora i risultati non possono che migliorare. Super Puzzle Fighter II Turbo, Mr. Driller e Intelligent Qube sono tutti da promuovere, mentre è sorprendentemente godibile anche Jumping Flash, lo strano gioco di piattaforme che consente di contare ogni singolo pixel sui poligoni e che non ha perso il carattere leggero e simpatico che lo caratterizzava all'epoca.

Ci sarebbe ancora spazio per qualche momento interessante in prodotti come Oddworld: Abe's Oddysee o Destruction Derby, mentre avremmo fatto volentieri a meno di rivivere esperienze come Twisted Metal e Battle Arena Toshinden, ma la situazione è sufficientemente chiara. Quanto già ampiamente supponibile si è avverato: PlayStation Classic è un progetto molto più pericoloso dei mini NES e SNES, perché si avventura in una generazione, quella dei videogiochi tre dimensioni, che per forza di cose sono quasi totalmente rinsecchite. Il tempo non fa sconti a nessuno, e sebbene quella di Sony resti comunque un'operazione nostalgica che può funzionare se si tengono bene a mente i limiti e le imperfezioni, probabilmente questo è uno dei motivi per cui Nintendo non ha ancora scelto di lanciare una riedizione in miniatura della sua storica console con su scritto "64".

 


 

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