La ricerca analizza come le produttrici di videogiochi stiano utilizzando l'intelligenza artificiale nei loro prodotti e creare esperienze più coinvolgenti per i giocatori
L'avvento dell'intelligenza artificiale ha rivoluzionato il modo di concepire la realtà di tutti i giorni da parte delle persone. Nei videogiochi, si cerca di capire come utilizzare questa tecnologia per impreziosire storie e personaggi al fine di rendere l'esperienza più coinvolgente, così che i giocatori possano vivere avventure sempre differenti. Uno studio recente ha cercato di sondarne gli aspetti più salienti.
Negli ultimi due anni, le aziende stanno applicando modelli linguistici di grandi dimensioni per generare nuovi personaggi di gioco con storie dettagliate, i quali potrebbero interagire con il giocatore in diversi modi: inserendo alcuni tratti della personalità, frasi a effetto e altri dettagli, è possibile infatti creare un modello versatile, in grado di intrattenere infinite conversazioni non scritte e mai ripetute con il giocatore.
Tale idea non è certo di nuova concezione, dato che da tempo neuroscienziati e psicologi utilizzano i videogiochi come strumenti di ricerca per conoscere a fondo la mente umana e numerosi titoli sono stati adattati o appositamente progettati per studiare come le persone imparino, navighino e cooperino con gli altri. La risposta a come i videogame potrebbero aiutare a svelare i "misteri" della psiche umana è il fine ultimo della ricerca di Hugo Spiers, neuroscienziato dell'University College di Londra, il quale ha utilizzato un gioco per studiare come le persone si orientino.
Nel 2016, Spiers e i suoi colleghi hanno collaborato con Deutsche Telekom e lo studio Glitchers per sviluppare il gioco intitolato Sea Hero Quest, un videogioco per dispositivi mobile in cui i giocatori devono navigare in mare con una barca, utilizzandolo da quel momento in poi per capire meglio come le persone perdano le capacità di navigazione nelle prime fasi della malattia di Alzheimer. Spiers ha spiegato come l'uso dei videogiochi nella ricerca neuroscientifica abbia preso il via negli anni Novanta, dopo l'uscita di giochi tridimensionali come Wolfenstein 3D e Duke Nukem. "Per la prima volta, si poteva disporre di un mondo interamente simulato in cui testare le persone", ha raccontato lo scienziato.
I ricercatori potevano osservare e studiare il comportamento dei giocatori tramite questi famosi franchise, valutando il modo in cui si esplorava l'ambiente virtuale, la ricerca delle ricompense e le decisioni prese dall'utente. Inoltre, i volontari che avevano deciso di contribuire alla ricerca non avevano bisogno di recarsi in laboratorio, dal momento che il loro comportamento di gioco poteva essere osservato ovunque si trovassero.
Per gli scienziati come Spiers, uno dei maggiori vantaggi dell'uso dei videogiochi nella ricerca è che le persone non ne disdegnano l'uso e ciò permette agli scienziati di esplorare esperienze fondamentali come divertimento e curiosità. Ai ricercatori è capitato spesso di offrire ai partecipanti un piccolo incentivo finanziario, ma è successo di frequente che accettassero solo per divertirsi e sentirsi motivati.
Con questo metodo, Spiers è stato in grado di raccogliere dati su oltre 4 milioni di volontari di 195 nazioni differenti che hanno giocato a Sea Hero Quest. L'intelligenza artificiale potrebbe aiutare i ricercatori a spingersi ancora più in là, vista l'allettante proposta di un mondo ricco e coinvolgente caratterizzato da personaggi che interagiscono in modo realistico, che potrebbe aiutare i ricercatori a studiare come la mente umana risponda ai vari contesti sociali e come si relazioni con gli altri individui.
Osservando il modo in cui i giocatori interagiscono con i personaggi dell'IA, gli scienziati possono imparare di più su meccanismi come cooperazione e competizione con altri individui: secondo Spiers, ciò costituirebbe un modo molto più economico e semplice di quello di ingaggiare figure specifiche per interagire con i volontari.
Lo stesso ricercatore è interessato a scoprire come le persone "vadano a caccia", che si tratti di cibo, vestiti o di animali scomparsi. "Usiamo ancora queste parti del nostro cervello che i nostri antenati avrebbero usato quotidianamente, e naturalmente alcune comunità tradizionali cacciano ancora", ha affermato. "Ma non sappiamo quasi nulla di come faccia il cervello a gestire questi processi". Egli prevede di utilizzare PNG guidati dall'IA per saperne di più su come gli esseri umani cooperano per andare a caccia.
Tuttavia, molti sono i quesiti legati alla mente umana ancora da analizzare: in un momento in cui le persone si affezionano ai "compagni virtuali" e viene messo a disposizione un numero crescente di partner creati con l'IA, i personaggi dei videogiochi potrebbero aiutare a capire queste nuove relazioni. "Le persone stringono una relazione con un agente artificiale", ha detto Spiers. "Questo è intrinsecamente interessante. Perché non si dovrebbe voler studiare questo aspetto?".