Un documento mostra che il paese vieterà qualsiasi videogame che contravvenga ai "valori corretti" e alla "comprensione accurata" della cultura e della storia di Pechino
Ennesima stangata al mondo videoludico da parte della Cina. Dopo aver recentemente accorciato a tre ore la quantità massima di tempo che bambini e adolescenti sono autorizzati a trascorrere davanti a computer e console, arriva l’ennesimo veto da parte del governo cinese, che censurerà tutti quei videogiochi dove gli uomini appaiono "effeminati", cercando invece di promuovere la cultura tradizionale cinese.
Questo quanto riportato in un documento governativo trapelato poche ore fa dopo una sessione di formazione organizzata dall'associazione cinese di gioco sostenuta dallo stato. Secondo il South China Morning Post, che ne ha esaminato il testo, il paese rifiuterà qualsiasi videogioco che promuova "maschi effeminati, le relazioni omosessuali o il mostrare personaggi che non dimostrano un genere ben definito".
Il documento insisteva chiaramente sul fatto che se qualcuno dei personaggi maschili dei videogiochi avesse indossato abiti femminili o che se gli enti di regolamentazione non fossero stati in grado definire immediatamente il sesso del personaggio, l’immagine di quest’ultimo sarebbe stata considerata problematica e dunque soggetta al bollino rosso della censura. La Cina è ormai orientata verso trame di videogiochi chiare senza confini morali confusi, in cui agli utenti non dovrebbe essere data la scelta di essere “buoni o cattivi”.
I sostenitori LGBTQ+ e gli attivisti per i diritti umani hanno fortemente denunciato la nota lanciata dal governo cinese, affermando che i videogiochi dovrebbero rappresentare la vita reale e che tali divieti limitano la libertà di scelta, spingendo irrimediabilmente verso atti di odio contro la comunità queer.
Altri hanno suggerito che i creatori di videogiochi dovrebbero sospendere i propri rapporti commerciali con la Cina, mentre purtroppo una buona fetta dell’opinione pubblica cinese ha invece sostenuto tale memorandum, dimostrando come la battaglia per i diritti nelle differenze di genere sia ben lontana dall’essersi conclusa.