Una ricerca condotta da un team di docenti universitarie ha fatto emergere dati sconcertanti sul ruolo della donna nel mondo videoludico
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Molti giocatori conosceranno di certo l’eroe principale di Metroid, Samus Aran. Durante tutto il gioco, presentato per la prima volta nel 1986, l’identità del personaggio è rimasta celata da casco e armatura. È solo alla fine che ci si rende conto che si tratti di una donna. Una bella svolta femminista? Resta da vedere. Se il giocatore finisce il gioco in meno di un'ora, l'armatura completa scompare, rivelando una Samus Aran in bikini.
Una sorta di "ricompensa" maschile che ha dato vita alla ricerca condotta da quattro studiose americane sul sessismo imperante nel mondo dei videogiochi. Lo studio, condotto dalle ricercatrici dell’Università dell’Indiana Jessica Tompkins, Teresa Lynch, Irene Van Driel e Niki Fritz tenta di sondare l’universo dei personaggi femminili nei videogiochi, cercando di capire se la rappresentazione delle donne nel videogiochi sia migliorata nel corso degli anni.
Analizzando undici personaggi femminili protagonisti di giochi per console e computer statunitensi e giapponesi, le quattro esperte hanno dimostrato che, mentre l'abbigliamento sessualizzante sembra essere un requisito fondamentale, il sessismo può assumere due forme diverse.
La prima forma, denominata sessismo ostile, è caratterizzata dal dominio degli uomini sulle donne, che sono percepite come manipolatrici e pericolose, e dal disprezzo delle donne in cerca della parità con gli uomini. Hana Tsu-Vachel, eronina del gioco d’azione Fear Effect 2 è un esempio di femme fatale che usa la sua sessualità per raggiungere i suoi scopi. In Bayonetta, il fisico dell'eroina è spesso evidenziato attraverso primi piani delle sue natiche, dell'inguine e dei seni.
La provocazione, l'erotismo mortale, il dominio femminile sugli uomini e la sessualità violenta alimentano questo senso di differenziazione competitiva dei generi. Le autrici sottolineano anche il carattere autonomo delle protagoniste, che intrattengono relazioni distaccate con gli uomini evocando un rifiuto del paternalismo dominante. Nello studio di questi undici giochi, è risultata relativamente rara la probabilità che le donne finissero per accoppiarsi con i loro alleati maschili, e ancora più raro che accorressero in aiuto di altre donne.
Lo studio però, tende a evidenziare maggiormente la seconda forma di sessismo, molto più insidiosa nei videogiochi, ossia il sessismo benevolo, che ritrae gli uomini come protettori, leader e responsabili delle donne destinatarie sottomesse a queste qualità, spesso relegandole a mere comparse secondarie ed enfatizzandone esclusivamente il valore come partner romantiche del genere maschile.
Con il pretesto di promuovere una posizione positiva e desiderabile per la controparte femminile, il sessismo benevolo ritrae le protagoniste come deboli e dipendenti dagli uomini. Per farne un esempio, le ricercatrici citano Yorda nel gioco d’avventura ICO, la quale risulta totalmente dipendente dal personaggio maschile omonimo. Quest'ultimo è in grado di combattere, arrampicarsi e spostare oggetti, cosa che Yorda non è in grado di fare. Nel corso della trama, Ico si prende cura della compagna, incarnando una differenziazione di genere complementare dove l'intimità tra i due personaggi viene costantemente suggerita.
Alcuni personaggi femminili come Serah Farron di Final Fantasy, indossano abiti più sessualizzati quando rivelano il loro grande potere, confermando studi precedenti che mostrano un legame positivo tra sessualizzazione femminile e potere nei videogiochi. Nonostante si sia sperimentata una leggera tendenza verso l'inclusività di genere e il femminismo negli ultimi anni, lo studio ha dunque mostrato che il sessismo è ancora prevalente nei videogiochi, principalmente rivolti a consumatori di sesso maschile.
Questo studio supporta i dati di altre ricerche, che indicano come l'industria dei videogiochi abbia bisogno di sperimentare un cambiamento culturale positivo nella rappresentazione dei personaggi femminili, in cui persistono ancora iconologie sessiste, un’evidente oggettivazione sessuale e la marginalizzazione dei personaggi femminili rispetto a quelli maschili.