Il papà di Metal Gear Solid stupisce ancora con un titolo di rara qualità, ma non adatto a tutti
di Luca FabbriForse non riusciremo mai a comprendere del tutto il genio di Hideo Kojima. Nel 2016 il produttore giapponese ha presentato Death Stranding e da allora i media non fanno che parlare di lui. Qualunque appassionato sa che questo gioco farà scalpore, che sarà la prossima bomba per PS4, eppure finora nessuno ci ha capito un tubo, critica compresa. Merito dello stesso Kojima, che mese dopo mese ha montato la panna a regola d’arte, confezionando trailer tanto spettacolari quanto indecifrabili.
Abbiamo così ammirato un cast di primo ordine, tra cui spiccano Norman Reedus, Guillermo del Toro e Mads Mikkelsen. Abbiamo poi appreso che il mondo di gioco è liberamente esplorabile in terza persona. Abbiamo infine ritrovato il marchio di fabbrica dell’autore in diverse trovate ai limiti del trattamento sanitario obbligatorio, come capsule portatili contenenti neonati immersi in una sorta di liquido amniotico o inquietanti ammassi di creature marine spiaggiate a riva.
Ma a pochi giorni dal lancio i dubbi superano le certezze: perché dovrebbe emozionarci un gioco dove - come si è visto nelle presentazioni - bisogna spaccarsi la schiena intabarrati stile rider di Foodora, per fare consegne in giro per lande desolate? E che c’entrano le sequenze da seconda guerra mondiale apparse nei filmati? Cos'è esattamente Death Stranding?
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LA NUOVA OPERA DI KOJIMA - Proviamo a fare un po’ di chiarezza. Tutto inizia nella costa est di quel che resta degli Stati Uniti. Da quando una serie di esplosioni - il death strading, appunto - ha messo in ginocchio il mondo, i superstiti si sono barricati in una miriade di insediamenti isolati l’uno dall’altro, sparsi per il paese, ora chiamato United Cities of America (UCA). Sam Porter Bridges, il protagonista, nella vita fa il corriere libero professionista, un mestiere che gode di elevata considerazione sociale.
Il precedente sistema di spedizioni, fatto di droni e aerei senza pilota, non può più funzionare a causa della formazione di nubi di chiralium, una sostanza semisconosciuta, presente in forma gassosa o in cristalli, che contamina un po’ tutto il pianeta. Servono dunque come il pane pony express che riforniscano i centri abitati. È un lavoraccio. Fuori dalle città si aprono vallate a perdita d’occhio, solo in apparenza senz’anima viva. Gruppi di predoni mettono a rischio le spedizioni, ma le minacce peggiori arrivano dalle nuvole: la pioggia, per inspiegabili ragioni, accelera il tempo, invecchiando qualsiasi cosa o essere vivente. E, soprattutto, anticipa la manifestazione di forze oscure, provenienti da un’altra dimensione.
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Proprio durante una consegna Sam viene arruolato dalla Bridges, la compagnia fondata dalla presidente delle UCA. La signora ha un tumore in fase terminale e poco prima di tirare le cuoia affida al protagonista un ultimo incarico. Tre anni prima la figlia Amelie ha guidato una spedizione verso ovest con l’obiettivo di ricostruire la nazione sotto la guida delle UCA.
Il problema è che non tutti condividono tale causa: c’è chi preferisce vivere pacificamente da eremita e chi è pronto a difendere l’indipendenza col sangue. Morale: raggiunta la costa ovest del paese, la carovana viene assaltata da un gruppo militante separatista e Amelie finisce sequestrata. Tocca a Sam recuperarla e, mano a mano che avanza verso il Pacifico, ripristinare i legami con le comunità locali, rifornendole di scorte, facendo consegne e ristabilendo così l’operatività della rete che connette i centri abitati con le UCA.
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LA VISIONE DEL MAESTRO - Al filone narrativo portante si incastrano con naturalezza, come pezzi di un puzzle, le storie di personaggi che - un po’ come accaduto con Metal Gear Solid - tra vent’anni ricorderemo con piacere. Basti pensare alla disperazione di Heartman, al rancore di Cliff, al senso di colpa di Fragile, oppure al mistero del nostro più fedele alleato in missione, BB-28, il bimbo incapsulato che segnala la presenza di eventuali creature. In generale è l’impalcatura narrativa a costituire il pezzo più pregiato dell’offerta di Death Stranding: la potenza della scrittura e la resa della recitazione, sempre di gran classe, fanno da cornice alla straniante solitudine che avvolge le spedizioni.
La trama si presta a più chiavi di lettura e suscita riflessioni su questioni collaterali ma d’attualità, come l’importanza dei legami in un mondo votato all’individualismo, il crollo demografico nelle società ipertecnologiche, la sostituzione dell’uomo con le macchine nel lavoro. Qualche passaggio grottesco - come i toni caricaturalmente trionfalistici di alcuni dialoghi - poteva essere risparmiato e la quantità di filmati supera la soglia di guardia. Ma se avete voglia di immergervi in universo di gioco fuori dagli schemi, contraddistinto da una grammatica tutta sua, da uno stile iconografico nuovo di zecca, eppure già candidato a diventare un classico, avrete pane per i vostri denti per almeno una cinquantina di ore, prima di godervi un finale che verrà annoverato tra i più coraggiosi e controversi della storia dei videogiochi. Ammesso che ci arriviate.
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Death Stranding non è affatto un gioco difficile, ma richiede tantissimo in termini di impegno e pazienza. Le meccaniche di base lo rendono un prodotto da dentro o fuori: o si ama o si odia. Nessuna consegna può essere affrontata senza pianificazione, il che implica dover trascorrere tempo nei (complicati) menù a studiare il percorso e sistemare il carico. Siccome passerete gran parte della campagna a sgobbare come muli, portando casse dal punto A al punto B, ottimizzarne la collocazione - sulla schiena, su un braccio, su un carretto - serve per evitare di collassare perdendo pezzi per strada e dover tornare a riprenderli.
Occorre poi considerare mille altri fattori, tra cui il meteo, perché pioggia e neve deteriorano i pacchi. Alcune casse devono essere consegnate entro un certo limite di tempo, altre possono essere portate solo in orizzontale, oppure non devono finire in acqua. Mentre si cammina bisogna mantenere l’equilibrio utilizzando i tasti dorsali: con lo scanner è possibile verificare il grado di pendenza del territorio, la profondità dei fiumi, la presenza di rocce o altri ostacoli.
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Se una salita si rivela troppo aspra, potrebbe essere utile una scala, ma l’avrete portata con voi? Potete sempre arrampicarvi, ma la barra del vigore calerà a vista d’occhio e, se crollate a terra, servirà una trasfusione. Bisogna fermarsi, tirare il fiato e bere per riprendere energie. Per carità, progredendo si sbloccano sfiziosi gingilli che rendono la vita più facile, ma resta l’impressione che Death Stranding più che fantascienza sia la Passione di Cristo.
Meno male che esistono il teletrasporto - copre però solo gli insediamenti già connessi con le UCA - e i (bellissimi) veicoli. Ma niente, a ben vedere, sostituirà le vostre gambe: spesso la destinazione è raggiungibile solo dopo essersi avventurati in terreni impervi, dove moto e autocarri si piantano. Senza contare che funzionano a batteria: più peso caricate e più consumano e, a meno che non vi siate portati l’occorrente per costruire un generatore, dovrete farvela a piedi. Magari equipaggiando un esoscheletro, utile per sollevare più chili o camminare più velocemente. Fino a quando non finisce la carica, si intende.
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Raggiunto un avamposto e ripristinata la rete con le UCA, è possibile fabbricare attrezzatura, armi, veicoli e persino infrastrutture, come strade, rifugi, funivie. Qui subentra uno degli aspetti più innovativi e riusciti di Death Stranding: giocando online si condivide parte dell’esperienza.
Siete davanti a un fiume in piena? Costruite un ponte e anche gli altri giocatori lo potranno attraversare. Mancano i collegamenti tra le città? Potete collaborare con altri avventurieri per asfaltare le strade. Avete trovato un carico smarrito? Lasciatelo nell’armadio condiviso o in un box postale e qualcuno lo consegnerà: è pur sempre un modo diverso dalle missioni per accumulare esperienza e incrementare le abilità di Sam.
Ogni impianto può essere potenziato per ottenere maggiori risorse e si può persino migliorare le costruzioni altrui, ricevendo così un "mi piace". Maggiore il numero di like scambiati, maggiore sarà il numero di strutture e funzioni da poter condividere.
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Abbiamo lasciato per ultimi i combattimenti per una ragione: non sono il fulcro dell’esperienza. E va bene così, Sam in fondo è un fattorino e scoprirete ben presto perché uccidere non rappresenti la soluzione migliore. Fatto sta che contro gli avversari umani emergono i limiti dell’intelligenza artificiale: riuscire a infiltrarsi silenziosamente in un accampamento portando 150 kg sulle spalle ha un che di surreale. Esattamente come sbarazzarsi di un esercito intero, carichi come facchini, e ricorrendo solo a calci e pugni.
Il talento visionario di Kojima si esalta piuttosto negli impressionanti scontri con i boss - tra cui gli intermezzi di guerra citati all’inizio - oppure durante le incursioni delle creature: quando BB-28 comincia a piangere, vuol dire che c’è qualcosa e bisogna evitare ogni rumore. Altrimenti non resta che combattere e qui Death Stranding diventa di colpo un horror: un fiume di catrame riempie lo schermo per chilometri quadrati e dalle viscere della terra compaiono bestie nere, simili, ad esempio, a leoni o a calamari giganti. Solo il sangue di Sam può abbatterle. Perché? Quale mistero si cela dietro alle origini del protagonista?
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In conclusione riteniamo che Kojima, ancora una volta, polarizzerà il pubblico in fan sfegatati e irriducibili detrattori. Death Stranding è un prodotto tecnicamente ineccepibile, che punta tutto su una trama d’autore, sulla cooperazione tra i giocatori e sull’atmosfera, davvero fuori parametro, che si respira durante le lunghe esplorazioni. La verità però è che innamorarsi di questo gioco è facile almeno quanto lo è stancarsi. Non ci stupiremmo affatto se qualcuno rinunciasse dopo poche ore di campagna.
Noi ne vediamo i difetti, primo dei quali la sconfortante ripetitività di troppe missioni, ma dobbiamo riconoscere che l’originalità dell’opera ci ha sopraffatti. Riteniamo quindi che essa debba essere come minimo provata da chiunque nel tempo libero ami impugnare un controller. Perché Kojima sarà pure autoreferenziale e innamorato delle sue idee, ma resta una delle menti più brillanti, influenti e anticonformiste dell’industria dei videogiochi. Solo lui poteva immaginare Death Stranding.
Come lo abbiamo giocato
Abbiamo provato Death Stranding, grazie a un codice per il download fornito dal distributore. Nel 2020 arriverà su PC. La prova è avvenuta collegando PS4 Pro a un televisore LG da 60 pollici Ultra HD 4K. Documenti e dialoghi sono tradotti e doppiati in italiano. Grazie al cielo.
Può piacere a chi…
… adora i videogiochi incentrati su una sceneggiatura forte
… non si annoia se in un open world sconfinato le missioni sono un po’ ripetitive
… ha amato alla follia tutte le opere di Kojima
Potrebbe deludere chi…
… si stanca subito quando bisogna girare come trottole in una mappa enorme
… non è attirato dalle trame complesse e preferisce più azione
… è alla ricerca di un sistema di combattimento profondo
Death Stranding è un gioco consigliato ai maggiori di 18 anni.