LA NOSTRA RECENSIONE

The Legend of Zelda: Link's Awakening è un portale diretto al 1993

Il gioco di ruolo di Nintendo torna su Switch con un’estetica al Pongo. Ma non fatevi ingannare dall’aria innocente: c’è da sudare

di Luca Fabbri
19 Set 2019 - 13:49
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Giocare oggi a un videogioco di 26 anni fa non è da tutti. La memoria per definizione è selettiva e ammanta i ricordi migliori di una patina d’affetto che tende a offuscarne gli aspetti meno piacevoli. Maneggiare il passato può rivelarsi rischioso. Forse per questa ragione Nintendo si è guardata dal riproporre un classico come The Legend of Zelda: Link’s Awakening - probabilmente il capitolo più enigmatico e fuori dagli schemi della saga - con lo stampino, così come era stato concepito per lo schermo in bianco e nero del Game Boy.

Nel mantenere la struttura e le due dimensioni dell’opera madre, la casa di Kyoto ha dapprima dato una generosa mano di plastilina alla direzione artistica, che ora splende di una bellezza senza tempo, roba da colpire dritto alla giugulare. Ha poi smussato alcuni spigoli, che avrebbero reso il titolo indigesto per lo stomaco del pubblico odierno, e ha aggiunto qualche contenuto inedito. Risultato del maquillage: bastano pochi minuti per innamorarsi del Link’s Awakening del 2019. Ciononostante, volente o nolente, il DNA resta quello di un videogioco della vecchia scuola. Con tutti i pro e i contro che ne conseguono.

Tutto ha inizio con un naufragio. Colto di sorpresa da un fortunale mentre navigava in mare aperto, Link viene ritrovato, più in là che di qua, su una spiaggia di Koholint, un’isola tropicale talmente fuori dalle rotte dei marinai, da non essere nemmeno segnata sulle mappe. Ripresi i sensi e recuperato l’equipaggiamento, il nostro Link scopre la scomoda verità: in quella terra le leggi della logica sfidano quelle del mondo conosciuto e salpare dalle coste è impossibile. A meno che l’eroe, stando alle informazioni gentilmente fornite dall’onnipresente Gufo, non recuperi otto improbabili strumenti musicali, nascosti chissaddove, e risvegli dal letargo la divinità locale, il Pesce Vento.

Se un canovaccio simile non vi intriga particolarmente, non avete tutti i torti. Come in altri episodi della serie del resto, la sceneggiatura, priva di profondità e sfaccettature, non offre particolari sussulti, eccezion fatta per un’inattesa rivelazione a circa 3/4 dell’avventura. Link’s Awakening resta dunque una fiaba semplice, scritta per far sognare e intenerire il pubblico di ogni età. Il vero punto di forza del titolo semmai, allora come oggi, sta nell’inossidabile connessione tra mondo di gioco e meccaniche di base. Una miriade di coloratissimi quadranti - che paiono cesellati a mano, uno ad uno, con certosina pazienza - raffigurano laghi, praterie, foreste, deserti e villaggi presenti sull’isola, andando a comporre un unico, meraviglioso, diorama.

La telecamera isometrica riprende l’ambiente con una prospettiva a volo d’uccello, offrendo così un quadro d’insieme delle stramberie che accadono a schermo. Questo episodio rinuncia a parte dell’iconografia della saga - come le lande di Hyrule, il male in persona Ganon o la stessa principessa Zelda - per attingere all’universo di Super Mario: compaiono così, ad esempio, piante carnivore, tubi, buffe creature trotterellanti, cani metallici inchiodati a catenacci e così discorrendo. Gli innesti non finiscono qui, perché capita che la visuale si sposti di lato offrendo uno spettacolo che ricorda da vicino i giochi di piattaforme in 2D.

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Nella versione finale, avrete la possibilità di creare i vostri dungeon personalizzati e mettervi alla prova con sfide uniche.

Nelle fasi esplorative Link’s Awakening non pretende certo di infondere il senso di libertà senza confini percepibile nel mastodontico Breath of The Wild. Sarebbe stata un’impresa improba, oltre che poco sensata. Gli autori hanno semmai fatto di tutto per riprodurre l’originale il più fedelmente possibile in una versione che ne conservi lo spirito e possa essere tuttora divertente da giocare, anche per le nuove leve. Link’s Awakening stimola la curiosità, lo spirito d’osservazione, esalta il piacere della progressione non lineare, segnata dal reperimento di manufatti eccezionali, trasmette la voglia di addentrarsi in labirinti zeppi di enigmi, insidie e tesori.

Le dimensioni di Koholint in confronto alla Hyrule di Breath of the Wild rasentano il ridicolo, eppure l’isola è densa di cose da fare, di passaggi da sbloccare, di segreti da scoprire. Le missioni richiedono lo svolgimento di attività potenzialmente frazionabili in sequenze di gioco di breve durata: è un ritmo perfetto per le sessioni in mobilità con Switch, circostanza che tuttavia non rende affatto Link’s Awakening in un titolo da cazzeggio mordi e fuggi, e questo per almeno due ragioni.

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Fate attenzione a dove mettete i piedi!

Primo: i combattimenti. Si basano sulla ripetizione di un paio di attacchi con la spada - fendente semplice e rotante, che possono essere inflitti in otto direzioni - da alternare allo scudo, e a un massimo di due accessori assegnabili ad altrettanti tasti per l’utilizzo rapido in battaglia. Semplice? Senz’altro. Eppure possiamo assicurarvi che tirare le cuoia è un attimo. L’intelligenza artificiale dei nemici e dei boss risale al 1993, con tutto quel che ne deriva: le creature si muovono seguendo le stesse, rigorosissime routine, ma dopo i primi dungeon le bestiacce infestano come cavallette i riquadri della mappa e diventano sempre più coriacee e fastidiose. Senza contare che le ostilità non cessano mai del tutto: non è possibile sgombrare una zona, perché gli avversari rinascono in continuazione.

Secondo: l’orientamento. Nonostante siano state inserite comode puntine per segnare nella mappa i luoghi da ricordare e, soprattutto, un provvidenziale registro che permette di richiamare le conversazioni e i momenti più rilevanti, capire il da farsi non sempre è immediato, anche perché non esistono - esattamente come accadeva all’epoca - indicatori o obiettivi che mostrino la direzione in tempo reale. Ergo, a meno che non conosciate l’isola quanto le vostre tasche, finirete per andare un po’ a tentoni, tornando in zone già visitate per verificare se vi è sfuggito qualcosa.

In un’occasione non riuscivamo più a capire come andare avanti, salvo accorgerci che avevamo dimenticato di saziare un animaletto con un particolare cibo. L’alimento, a sua volta, è in qualche modo connesso a un gadget da vincere in un mini-gioco attivabile nel villaggio iniziale. In un’altra circostanza una chiave è apparsa solo dopo aver sconfitto i nemici presenti in un determinato ordine (non spiegato da nessuna parte). Discorso a sé poi meritano gli otto dungeon principali, che, come da tradizione, nascondono gli oggetti indispensabili - quale il rampino o gli stivali da corsa - per proseguire. Chi borbottava sulla qualità dei dedali Breath of The Wild sarà lieto di apprendere che quelli di Link’s Awakening vanno annoverati tra i più ingegnosi della saga, e troverà un bel groviglio di cunicoli in cui perdere ore della propria esistenza.

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Lo stile scelto da Nintendo per il comparto grafico di questo remake è semplicemente delizioso.

Per risparmiarci massicce dosi di frustrazione gli sviluppatori hanno aumentato i punti di teletrasporto, che consentono di spostarsi da una zona all’altra di Koholint o di ritornare in una sezione avanzata di un labirinto. Il problema è che queste postazioni restano comunque scarse in rapporto all’estensione delle aree esplorabili e, quando si crepa dentro a un dungeon, il sistema immancabilmente riporta all’inizio. Non resta quindi che armarsi di santa pazienza e camminare.

Per tirare il fiato potrete sempre cimentarvi in uno dei divertenti mini-giochi a premi - come la pesca o la discesa delle rapide con la zattera - oppure provare la nuova modalità, che consente di creare e condividere labirinti con una semplicità davvero disarmante. L’innovazione stuzzica la fantasia ma ci sono alcune regole - che qualcuno potrebbe trovare un po’ rigide - da rispettare: le scale, ad esempio, non possono essere in numero dispari rispetto alle stanze. Le porte chiuse devono essere tante quante i forzieri se non meno. E l’ultimo scrigno da aprire deve per forza di cose contenere la chiave d’accesso alla stanza del boss. Per evitare la proliferazione di dedali eccessivamente difficili, Nintendo ha poi imposto l’obbligo di arrivare in fondo alla propria creazione prima di poterla pubblicare. Questo significa però dover rifare le stesse cose e combattere gli stessi boss, dal momento che nell’editor possono essere collocate soltanto stanze appartenenti ai labirinti già attraversati durante la campagna. Non escludiamo che qualcuno possa appassionarsi a questa modalità, ma ci aspettavamo un po’ più di divertimento, specie dopo aver passato interi pomeriggi davanti all’editor di livelli presente in Super Mario Maker.

Da un punto di vista tecnico infine il titolo sfoggia colori vibranti, un nuovo sistema di illuminazione, animazioni completamente riviste e una colonna sonora finalmente orchestrata. La produzione soffre però di frequenti rallentamenti, onestamente inspiegabili considerando la cura che Nintendo solitamente riserva ai propri lavori. L’effetto sfuocato a bordo schermo dovrebbe aumentare la profondità di campo, eppure non ci ha pienamente convinto. Queste magagne, beninteso, nulla tolgono al valore dell’opera. Ci sentiamo di sconsigliarne l’acquisto solo ai pelandroni che necessitano di essere costantemente guidati nell’avventura e vanno subito nel pallone se devono spremersi un minimo le meningi per capire come andare avanti. Tutti gli altri dovrebbero dare credito a Link’s Awakening: se un gioco viene considerato una pietra miliare del suo tempo un motivo c’è. Sempre.


Come lo abbiamo giocato

Abbiamo provato Link’s Awakening grazie a un codice per il download fornito da Nintendo. La prova è avvenuta collegando Nintendo Switch a un televisore LG da 60 pollici Ultra HD 4K, sfruttando la console anche in modalità portatile. Se non conoscete o non vi ricordate l’originale per Game Boy, considerate non meno di 15 ore per arrivare ai titoli di coda. Di cose da fare ce ne sono. Di momenti di smarrimento, pure.


Può piacere a chi…
… vuole riscoprire uno dei titoli più significativi della saga di Zelda
… aveva giocato l’originale del 1993 e ne era rimasto folgorato
… ama risolvere dungeon e scoprire tesori nascosti

Potrebbe deludere chi…
… ha appena finito il monumentale Breath of The Wild e si aspettava un’esperienza simile
… si spazientisce subito quando in un videogioco non capisce come andare avanti
… ritiene che le due dimensioni siano ormai del tutto superate

The Legend of Zelda: Link's Awakening è un gioco adatto a un pubblico di tutte le età.
 

 


 

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