Nel 1986 l'azienda giapponese si lancia sulle tracce di Atari e propone la sua bella versione di "rompimuro"
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Gli albori del nostro hobby sono strettamente legati a uno dei primi grandi successi in ambito di videogame, ovvero quel Pong di Atari in cui due semplici "racchette" (in realtà si tratta di rettangoli bianchi) palleggiano tra loro con una squadratissima pallina. Questo gioco del 1972 ha funzionato poi da ispirazione diretta per Breakout (Atari, 1976), ovvero il primo "rompimuro" in cui, controllando sempre una delle suddette racchette, dobbiamo rompere, mattone dopo mattone, un colorato muro posto nella parte alta dello schermo.
Giochi semplici ma ammalianti, controllati tramite "paddle", ovvero delle rotelline da girare in senso orario o antiorario per muovere le racchette. Il videogame di cui vogliamo parlarvi oggi è figlio diretto di Breakout, poiché ne rappresenta la diretta evoluzione secondo la giapponese Taito: nel 1986, ovvero dieci anni dopo l’originale, compare infatti nelle sale giochi Arkanoid, interpretazione colorata e fantascientifica del concetto di "rompimuro".
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Controllando un’avveniristica racchetta posta nella parte bassa dello schermo dobbiamo superare ben trentadue livelli distruggendo tutti i mattoncini presenti in essi: sì, esattamente come in Breakout (e relativo seguito, Super Breakout), sebbene in questo caso Taito abbia inserito numerose novità per mantenere alta l’attenzione del giocatore. Così, arrivano mattoncini “blindati” che richiedono più colpi, unitamente a una struttura molto creativa dei livelli, che talvolta rappresentano veri e propri disegnini (tra cui qualche palese citazione da altri giochi Taito come Space Invaders e Bubble Bobble).
Altre interessanti aggiunte sono rappresentate dai "nemici" che circolano per lo schermo, deviando al tocco la nostra palla, nonché da capsule che vengono rilasciate dai mattoncini distrutti e che ci forniscono diversi potenziamenti. La nostra racchetta diventa dunque più lunga, acquisisce l’abilità di incollare la pallina per lanciarla con più precisione o addirittura estrae un paio di cannoni per fare più agevolmente piazza pulita dei mattoncini.
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Oltre a mirare con attenzione la sfera verso i bersagli il giocatore deve ovviamente evitare che finisca nella parte bassa dello schermo, pena la perdita di una preziosa "vita". Superati trentadue livelli eccoci faccia a faccia con il perfido Doh, versione futuristica di una statua dell’Isola di Pasqua che richiede numerosi colpi prima di venire distrutto.
I designer Akira Fujita e Hiroshi Tsujino riescono così a ripescare uno schema di gioco vetusto e in larga parte dimenticato, attualizzandolo e mettendo nelle mani di Taito un best-seller che riceve un enorme successo. Non manca una grande quantità di conversioni per sistemi da casa come l’edizione per Nintendo Entertainment System (inclusiva di tre livelli aggiuntivi), l’eccellente conversione per Commodore 64 e quella per Amiga, comodamente controllabile via mouse e praticamente "arcade-perfect".
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Il grande successo di Arkanoid portò Taito a mettere immediatamente in sviluppo una versione potenziata intitolata Arkanoid Tournament (uscita solo negli Stati Uniti) e in parallelo un vero e proprio secondo capitolo.
Ecco dunque, nel 1987, debuttare Arkanoid: Revenge of Doh, corposo seguito con ben sessantaquattro diversi livelli (dei quali se ne affrontano solo trentadue per partita, "scelti" dal giocatore tramite bivi), un nuovo boss da eliminare a metà gioco e il ritorno di Doh come nemico finale, senza contare diversi nuovi tipi di mattoncino e bonus. Un ottimo seguito seguito che riceve a sua volta una sfilza di valide conversioni per sistemi da casa.
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Nel frattempo il successo della serie ha portato molte software house a creare propri giochi ispirati ad Arkanoid: per PC ad esempio sono notevoli Ball Blasta e Krakout, mentre in sala giochi si fa notare Thunder & Lighning.
Negli anni arriveranno altri giochi della serie di Arkanoid, a partire da Arkanoid: Doh it Again per Super Nintendo (1996), sebbene la serie non tornerà mai a essere popolare come negli anni ‘80.