La storia di un personaggio che abbiamo visto crescere e che, forse, non ci abbandonerà mai
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La saga di The Last of Us è ormai diventata di fatto una di quelle che non ha bisogno di presentazioni. Un anno dopo il debutto di Parte II, il sequel detiene il primato per numero di statuette ricevute come Game of the Year, superando addirittura l’enorme successo riscosso dal primo episodio. Una componente fondamentale della formula che ha reso il lavoro di Naughty Dog così indimenticabile, data la forte componente narrativa, si deve senza dubbio ai protagonisti – prima su tutti, Ellie.
In un certo senso, al posto di Joel ci sarebbe dovuto essere Nathan Drake. Aspettate, aspettate: non nel senso che Drake avrebbe dovuto vedersela con infetti e tutto quanto, no. Dovete però sapere che l’idea alla base del personaggio "Ellie" deriva da un’altra ragazza virtuale, rimasta inutilizzata, che avrebbe dovuto accompagnare per un tratto Nathan durante Uncharted 2: Il covo dei ladri.
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Era importante dare a Ellie uno spessore importante, per evitare di cadere nella trappola dei personaggi secondari da escort mission, che negli anni sono risultati spesso palle al piede per i giocatori. L’obiettivo degli sviluppatori di Naughty Dog era creare un legame tra Joel ed Ellie attraverso il gameplay, non affidandolo quindi soltanto alle scene d’intermezzo. Una buona mano in questo è arrivata dall’interprete del personaggio, Ashley Johnson che, oltre all’ottimo lavoro fatto davanti alla macchina da presa, ha anche convinto il game director Neil Druckmann a rendere il personaggio meno passivo, dandole spazio per esibire le sue – crescenti – capacità.
Uno degli elementi fondamentali che ha reso Ellie un personaggio così rappresentativo è stata, nel primo capitolo, la combinazione di questa componente violenta (una necessità dettata dal contesto, un mondo post-apocalittico alla deriva) con una fragilità tale da renderla una quattordicenne comunque credibile – sebbene distante anni luce dalla spensieratezza dei ragazzi e delle ragazze della sua età, come lei stessa fa notare in una scena iconica del primo capitolo, sfogliando un po’ perplessa una rivista per teenager dei nostri tempi.
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Qualche problema è sorto, ai tempi dell’annuncio di The Last of Us, a causa dell’aspetto di Ellie. Elliot Page, uno dei principali interpreti di un altro videogioco contemporaneo, Beyond: Due Anime, non accolse positivamente la notizia che la co-protagonista del titolo Naughty Dog gli somigliasse molto. I padri di Ellie, che si dissero ignari, al tempo dello sviluppo, del progetto Beyond, ritoccarono i lineamenti della ragazza per far sì che mantenesse un’identità propria.
La somiglianza si è poi fatta assai meno evidente con il passare degli anni, reali e virtuali: nel secondo capitolo, pubblicato nel 2020 (a sette anni dal debutto dell’originale), Ellie mostra i segni di anni passati in un mondo di violenza e terrore – specialmente dopo l’arrivo a Seattle (tranquilli: non faremo riferimento a nessun avvenimento specifico, per evitare spoiler). Non è una questione di centimetri o di tatuaggi: il viso asciutto e il taglio degli occhi raccontano molto di quello che può aver passato, mentre noi giocatori non eravamo con lei. Non c’è neppure bisogno di parole.
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La forza dei videogiochi della serie The Last of Us sta nei suoi personaggi e nel modo in cui gli eventi terribili in cui si trovano coinvolti plasmano la loro identità. Nel 2013, ci sono bastati dieci minuti di prologo nei panni di Joel per capire la portata del suo dolore; ci è bastato trovarci per dieci minuti nei panni di Ellie, dopo l’incidente che precede l’inizio del capitolo “Winter”, per ricordarci che Ellie era una bambina o poco più e che c’era qualcosa di sporco, di sbagliato, nel farle uccidere delle persone.
La bravura degli interpreti che hanno dato vita alle scene più celebri ha giocato un ruolo importante, ma un peso ancora più grande l’ha avuto la scelta degli sviluppatori di mettere al centro della storia delle tematiche cupe, pesanti, che a volte faticano a trovare spazio in un videogioco. Il lutto, la brutalità assoluta che riesce a salvarsi dalla gratuità e, soprattutto, dalla leggerezza, l’ansia e il peso insostenibile che possono avere i traumi nelle vite delle persone. Ma c’è anche spazio per la rappresentazione, naturale e delicata, dei sentimenti di Ellie prima nei confronti di Riley (nel prequel, Left Behind) poi di Dina (in Parte II); queste relazioni contribuiscono a rafforzare l’umanità del personaggio e a creare un nucleo di calore in grado di stemperare il gelo di un mondo altrimenti spietato.
Aspettiamo ora di vedere come se la caverà Bella Ramsey nei panni di Ellie, nella serie TV prodotta da HBO e ispirata al franchise di Naughty Dog.