Nel 1993 debutta in sala giochi una rilettura irresistibile del mondo della NBA.
di Mattia Ravanelli© ign
La storia di NBA Jam nasce pubblicamente in una fredda sera del midwest statunitense, dietro le porte della sala giochi Dennis’ di Chicago. Lì, punto di ritrovo per appassionati e giocatori occasionali, la squadra che ha passato l’ultimo anno a dare vita al gioco, lo propone per la prima volta al pubblico. Un test essenziale per eventuali rifiniture dell’ultim’ora e per provare a intuire quale possano essere le sue potenzialità al botteghino. Basta poco per rendersi conto che sarà un successo.
NBA Jam è il primo gioco a trasportare la fanfara del basket professionistico a stelle e strisce in sala giochi, pur rielaborandone le regole a suo piacimento. È il 1993 quando il gioco debutta in tutto il mondo e per una volta tanto non serve lavorare troppo di fantasia: quelli che si muovono sul parquet sono i “veri” atleti della NBA. Lo dicono i nomi, garantiti dalla licenza ufficiale ottenuta dalla lega, ma anche se non di più i volti digitalizzati che, appiccicati su testoni oversize, accompagnano i giocatori. Il risultato finale è semplicemente perfetto: vere e proprie caricature che danno vita a una rilettura esagerata ed esplosiva del basket.
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La pubblicità della versione originale, per sala giochi, di NBA Jam: la vera NBA e quella digitale tutta schiacciate.
Sul campo si muovono due squadre composte ciascuna da altrettanti atleti. I falli non esistono e con un pulsante è possibile spingere a piacimento l’avversario per provare a impossessarsi della palla. L’unica regola che viene rispettata, oltre a quella dell’assegnazione dei due o dei tre punti, è quella del goaltending (non si può bloccare un pallone in parabola discendente diretto verso il canestro). Per il resto… è il far west. O meglio, è spettacolo allo stato brado.
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All'inizio della partita vengono ricordate le poche regole. E alla fine di un quarto di gioco, è obbligatorio inserire un altro gettone per continuare a giocare.
NBA Jam isola l’elemento più emozionante ed esaltante del basket, la schiacciata, e ci costruisce un gioco attorno. Ogni atleta è accompagnato da una barra di energia che indica quanto a lungo può effettuare un’accelerazione e, in combinazione con il pulsante di tiro, ci si può lanciare verso il canestro sfidando le regole della fisica e della gravità. I protagonisti dell’annata 1992-1993 si esibiscono così in spettacolari “dunk”, con tanto di mulinelli, giri della morte ed effetti sonori e visivi che sottolineano l’assurdità del tutto. Voli a cinque metri di altezza e palloni schiantati nella retina sono commentati con la giusta enfasi dalla voce del telecronista che sembra impazzire tanto quanto chi ha il controllo del joystick.
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Il goal tending è tra le poche regole del vero basket a venir rispettate anche in NBA Jam.
Il successo di NBA Jam è tale da generare una lunghissima serie di conversioni per console casalinghe e portatili. La presenza di personaggi segreti del calibro dell’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton non fa che accrescere la fama e la curiosità generata dal gioco, che entra di prepotenza nella cultura pop dell’epoca. La voce digitale che esplode in un “Boomshakalaka!” all’ennesima schiacciata che fa tremare il tabellone viene replicata nelle scuole e negli uffici e per quanto Midway non sia riuscita a includere Michael Jordan nel gioco, per evidenti problemi di licenze, è lo stesso Re dei Bulls a chiederne una versione a uso personale in cui compaia anche la sua trasposizione in pixel.
Entro la fine del 1993 NBA Jam genera qualcosa come un miliardo di dollari, è solo l’inizio di un breve dominio che porterà a una seconda versione, NBA Jam Tournament Edition, nel 1995… e a una rapida discesa negli inferi con l’approccio tutto 3D di NBA Jam Extreme nel 1996. Nel 2010 è addirittura Electronic Arts a riuscire a mettere la mani sul marchio, realizzandone una nuova edizione solo per Wii, con risultati non proprio eclatanti. Perché NBA Jam era e rimane figlio e portabandiera di un modo di fare videogiochi che è tipico degli anni ’90: “He’s on fire!”.