Le lunghe gambe di una ballerina e quel gatto volante dalle zampe morbidissime.
di Mattia Ravanelli
C’è stato un tempo in cui Tako era un semplice polipo del banale pianeta Terra. Un polipo come tanti, con un sogno nel cassetto: diventare un comico di successo. Un brutto caso di inchiostrate ai suoi primi critici ha messo anzitempo fine alla carriera sul palco, spalancandogli le porte del “programmatore di sogni e speranze”, che in effetti…
Un attimo: un polipo attore che si trasforma in una mezza divinità? Solo lontani dal mondo di Parodius può sembrare troppo folle anche come premessa per un videogioco. Che non era e non sarà mai un semplice videogioco, quanto più il perfetto testimonial di un’epoca gloriosa, viva e frizzante come non mai, quella del settore giapponese negli Anni ’80 e all’inizio del decennio successivo.
Un gioco già a partire dal nome, Parodius è a tutti gli effetti la parodia della serie di sparatutto Gradius di Konami. Ne riprende grossomodo l’intera impalcatura, andando principalmente a lavorare sui personaggi, sullo stile, sulla presentazione e sul tono. Riuscendo così a creare un fratellastro se possibile ancora più divertente e indimenticabile. Si continua a sparare, a raccogliere potenziamenti, ad affrontare orde di nemici, ma in modo differente.
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Sparare contro un dolce gattino? Sarà anche gigante e sarà anche rimasto incastrato in quel vascello, ma… no, in effetti ha senso. Dateci dentro.
Il debutto viene registrato nel 1988 con il primo capitolo per MSX, disponibile solo in Giappone. Saranno svariati, purtroppo, gli episodi della serie di Parodius a non godere mai di una distribuzione in occidente. Incredibile a dirsi, nessuno arriverà mai negli Stati Uniti, spingendo addirittura la storica pubblicazione di settore Electronic Gaming Monthly a definire Parodius Da! come “il miglior gioco che non è mai stato pubblicato negli USA” nel 1992.
Il riferimento è in effetti alla seconda uscita di Parodius, che quella volta finisce per infestare gioiosamente prima le sale giochi, poi anche NES e Super Nintendo, con tanto di distribuzione nel Vecchio Continente. Un’ottima notizia, perché la qualità del gioco era sopraffina. Un cast assurdo, tra cui il Tako di cui sopra ma anche l’astronave Vic Viper di Gradius o TwinBee dell’omonima serie sempre firmata Konami, si ritrova ad affrontare ballerine dalle gambe chilometriche e vestite con parsimonia. Ci sono gatti giganti infilati in vascelli volanti. Ma spazio anche a un pollo che pare la presa in giro dello Zio Sam o un maiale lottatore di sumo i cui colpi fanno crollare anche il cartello con il logo di Konami.
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Schivare le gambe di una ballerina ciclopica è solo una delle tante scene al limite dell’assurdo che costellano Parodius.
Parodius Da!, nel resto del mondo solo Parodius e quindi considerato (erroneamente) il primo gioco della saga, è un piccolo, grande capolavoro. Racchiude ed esprime tutta quella capacità tipicamente giapponese di scherzare e giocare con i propri idoli e le tradizioni e credenze più radicate. Non ha paura di mettersi in gioco e nel farlo porta su schermo un sistema di gioco inattaccabile, fatto di potenziamenti progressivi ed esaltanti, e una veste grafica fuori dal comune. Un applauso anche alla colonna sonora composta unicamente da brani di musica classica.
Konami realizzerà altri capitoli, confezionerà delle raccolte, arriverà all’inizio del nuovo secolo a ipotizzare qualcosa di vagamente simile con la mini-serie Otomedius, ma nessuno mai riuscirà a replicare il successo del Parodius del 1990. La stessa etichetta giapponese sembra lontana ormai anni luce da quella fucina di idee e colori che spettinava il mondo trent’anni fa. Chissà, un giorno potrebbe tornare un polipo a riempire di sogni e speranze il gruppo di Osaka.