La regola aurea: mai una zona residenziale vicino alla centrale a carbone
di Mattia Ravanelli© ign
Da dieci anni Will Wright non firma un nuovo gioco. L’ultima creazione del game designer di Atlanta risale al 2008, Spore. Wright, allora, si allontanava dal marchio “Sim” per la prima volta in quasi vent’anni. Il risultato fu interessante, come da (sua) tradizione capace di miscelare creatività e strategia. Per quanto riguarda il grande pubblico, invece, i numeri furono modesti.
La carriera di Will Wright è per forza di cose un binario che corre parallelamente a quello di SimCity, prima, e dello spin off più celebre di ogni tempo: The Sims. Tutto ha comunque avuto inizio a metà degli anni ’80 su un Commodore 64, mentre Will era al lavoro su un preistorico sparatutto (Raid on Bungeling Bay): il software realizzato per allestire le isole da sorvolare e bombardare con l’elicottero era talmente divertente che Wright ci costruì un gioco attorno. SimCity, per l’appunto.
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I colori delle zone indicano la loro natura: residenziale, commerciale o industriale.
Non una storia semplice, se si sono dovuti aspettare ben cinque anni prima che l’idea raggiungesse i giocatori. La difficoltà maggiore? Convincere un editore a pubblicare quello che, a conti fatti, non sembrava nemmeno un videogioco. In un mercato per certi versi più coraggioso e selvaggio di quello odierno, ma appena scottato dalla crisi del 1983 di Atari e con un pubblico ancora numericamente piuttosto ridotto. Andò a finire che Wright, assieme a Jeff Braun (collega conosciuto a una pizzata tra conoscenti comuni), fondò la sua etichetta, Maxis, e scommise su se stesso. Avanti veloce fino al 1997: Electronic Arts acquista Maxis per 125 milioni di dollari, ancora prima che venga realizzato un solo The Sims.
SimCity in effetti era strano, uno di quei giochi improbabili e che non dovrebbero funzionare, eppure capace di agire con una forza magnetica su chi gli si piazzava di fronte. Nei panni di un sindaco virtuale, ma più credibilmente di una mezza divinità (era l’epoca dei god-game, dopotutto), si era chiamati a creare una città. Decidere dove sarebbe nata la zona commerciale e dove quella residenziale. Come e quali intricati e tortuosi giri avrebbero compiuto le strade e come collegare ogni struttura al sistema elettrico e quindi alla centrale. Se quella centrale dovesse appoggiarsi o meno al nucleare… tutte questioni che si sarebbero poi riflesse sulla qualità della vita delle singole aree e quindi sulla loro capacità di crescere e arricchirsi.
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Difficile riconoscere un vero videogioco nel SimCity del 1989, se visto da lontano. Ma erano sufficienti pochi minuti per farsi catturare.
C’era e ci sarà sempre qualcosa di magico e unico in SimCity. Godersi da una posizione privilegiata il dispiegarsi della vita tra le strade, rappresentata dai minuscoli abitanti (i Sim che diventeranno delle celebrità dieci anni dopo) che salgono in auto, formano un ingorgo, vanno a prendere il treno, entrano nella stazione della polizia, è semplicemente indescrivibile. Studiare continuamente come e dove migliorare la propria urbe, quanto “castigare” la popolazione attraverso le tasse, se sia possibile o meno evitare le maledette calamità naturali che arrivavano a devastare tutto: questo era l’incantesimo di Will Wright.
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Nintendo realizzò una sua versione di SimCity per Super Nintendo. Il gioco sarebbe dovuto uscire anche su Nintendo Entertainment System, ma lo sviluppo venne interrotto.
Con oltre un milione di copie vendute, Nintendo che realizza internamente (su licenza, ci mancherebbe) una versione per Super Nintendo con Bowser e (la statua di) Mario e una quantità imponente di edizioni, SimCity ha fatto conoscere ad almeno una generazione l’amore per la pianificazione urbana. O qualcosa di simile. Sono innumerevoli le testimonianze di chi, vent’anni dopo, ha “ammesso” di essersi appassionato all’argomento grazie alla simulazione di Wright, tramutandola poi nello studio e nella professione della propria vita.
L’ultimo capitolo di SimCity risale al 2013, con Wright già lontano da Electronic Arts e Maxis. Il gioco ha dato il via a tutto un genere, che non è esattamente sulla cresta dell’onda, ma che continua a mietere vittime o, meglio, a far battere cuori e correre i neuroni.