Nessuna bolla di energia e pugni infuocati per il picchiaduro “reale” che ha cambiato le regole del gioco
di Mattia Ravanelli© IGN
Per cogliere la portata rivoluzionaria di Virtua Fighter è necessario fornirsi delle giuste coordinate. Il gioco pubblicato nel 1993 da Sega concludeva un primo “arco narrativo” della collana Virtua, supervisionata e gestita in prima persona da Yu Suzuki, eminenza (ancora non troppo) grigia del gruppo giapponese. Se Nintendo aveva Miyamoto, Sega ribatteva con Suzuki. E il paragone non offendeva proprio nessuno, risultando eventualmente squilibrato a favore dell’autore di Mario e Zelda, se vogliamo proprio dirla tutta.
Il 1993 che vede consegnarsi sull’uscio di casa Virtua Fighter, quando ormai l’anno sta volgendo al termine, è un periodo ben più che florido per i picchiaduro a incontri. Il big bang di Street Fighter II (1991) ha dato il via a una corsa all’oro che raggiunge il suo picco, per iscritti alla competizione, proprio un paio di anni più tardi.
SNK e Neo Geo, la console per eccellenza destinata a esplorare il genere, propone una quantità significativa di interpretazioni: Fatal Fury Special, Samurai Shodown e World Heroes 2 guidano il carrozzone. Capcom ribatte con Street Fighter II Turbo Hyper Fighting e intanto a casa c’è spazio per la piccola Europa di Body Blows (Team 17).
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A dominare, come è evidente, sono le produzioni completamente bidimensionali e saldamente ancorate a uno stile volutamente caricaturale, colorato, eccessivo e spettacolare. Si scivolerà verso interpretazioni ancora più brutali solo un anno più tardi, con Mortal Kombat II e Primal Rage, tra gli altri. Qui in mezzo, però, si innesta la visione di Sega e di Suzuki che, dopo aver già scardinato l’idea di gioco di guida con Virtua Racing, raddoppiano con Virtua Fighter.
Il picchiaduro di Akira e dei suoi sodali si allontana con prepotenza e ambizione dal modello più in voga, gettando lo sguardo verso il futuro. Tutto il sistema di gioco si appoggia alla struttura 3D concessa dalla potenza della scheda Model 1 e su schermo arriva quella che potrebbe essere tranquillamente definita una simulazione di arti marziali. Non è propriamente così ma è indubbio che la distanza che Virtua Fighter mette tra sé e chi è venuto prima (ma anche appena dopo, come detto), sia clamorosa.
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Non è solo l’aspetto estetico dei combattenti a cambiare le regole del gioco. Certo ci si trova di fronte una serie di personaggi vagamente credibili, ricreati affondando le mani nell’epica e nella tradizione giapponese e mettendo da parte bestie mutanti o irresistibili macchiette, ma non è questo il punto. Virtua Fighter prende tutti in contropiede quando dà il via al suo balletto su quello che è un vero ring, da cui si può anche scivolare o essere costretti ad abbandonare decretando la perdita del round. Kage-Maru e compagni si spostano con una morbidezza di movimenti e impreziositi da animazioni mai viste prima. Il tutto è legato a doppio filo a una fisica dei corpi che rende gli scontri infinitamente più credibili rispetto al passato e impone un ritmo mai visto prima. Più compassato e meno brutale o spettacolare, eppure in grado di stregare il pubblico.
Lo stesso pubblico che in Giappone non si preoccupa troppo della scelta di Sega e di Suzuki di raddoppiare il costo della singola partita, che passa da 100 a 200 Yen. Ogni scheda e ogni cabinato di Virtua Fighter si rivelano particolarmente onerosi per il marchio blu e in qualche modo occorre rientrare. Detto, fatto: i “cassoni” di Virtua Fighter vengono presi d’assalto. I costi, soprattutto di manutenzione, avrebbero potuto rivelarsi molto più alti se Suzuki avesse seguito un’altra delle sue intuizioni. Una delle ipotesi per la plancia del cabinato prevedeva letteralmente dozzine di pulsanti. Un mare di pulsanti su cui strisciare la mano compiendo dei movimenti in grado di descrivere una traiettoria precisa. In pratica una forma antesignana del rilevamento dei movimenti. L’idea venne abbandonata perché ritenuta impraticabile dal punto di vista della gestione e, appunto, dei costi collegati alla stessa.
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La conversione del 1994 riuscita solo in parte per Saturn verrà poi “vendicata” dall’edizione Remix (1995) e la serie continuerà in sala giochi, poi su Dreamcast e addirittura come esclusiva per PlayStation 3 nel quasi del quarto capitolo. L’ultimo episodio, Virtua Fighter 5, risale addirittura al 2006. Sega e Suzuki hanno da tempo separato le loro strade ma la saga meriterebbe un ritorno in grande stile. Per cambiare tutto, un’altra volta.