DIO PERDONA, LARA NO

Shadow of the Tomb Raider è la definitiva consacrazione di Lara Croft

L’archeologa più famosa del pianeta torna spietata e letale come non mai: il divertimento è assicurato

di Luca Fabbri
27 Set 2018 - 11:47

Ammettiamolo: da tempo Lara Croft ha un problema grande come una casa, che si chiama Nathan Drake. Dopo aver fatto luce su misteri di civiltà morte e sepolte, profanato tombe disseminate di trappole, abbattuto a pistolettate torme di malintenzionati (tirannosauri compresi) e, soprattutto, dopo aver gettato, venti e rotti anni fa, le fondamenta delle avventure tridimensionali in terza persona a tema esplorativo, la debordante archeologa, sogno inconfessabile di una generazione di videogiocatori, ha dovuto fare i conti, come molte icone dell’epoca, con il logorio della vita moderna e l’inevitabile altalena delle mode. Ogni frutto ha la sua stagione e quella - irripetibile - di Lara restano gli anni ‘90. A mettere il dito nella piaga nel 2009 ci si sono messi pure gli sviluppatori Naughty Dog: con il secondo, indimenticabile, capitolo di Uncharted, quei geniacci hanno reso di colpo antiquate le cronache della ricca ereditiera, fissando nuovi standard nella narrazione d’avventura, più adulta, introspettiva e coinvolgente che mai. Il risultato è che nell’immaginario collettivo la controparte videoludica di Indiana Jones ora porta il cognome Drake, non Croft.

Sarebbe comunque stato un suicidio commerciale lasciare una gallina dalle uova d’oro come Lara a trascorrere il resto dei suoi giorni a guardare i cantieri per strada. Deve essersene resa conto per prima Square Enix, detentrice dei diritti della saga, altrimenti con Tomb Raider del 2013 non avrebbe incaricato l’esecuzione dei grandi lavori di restauro del mito che fu: via i tratti più spigolosi e stereotipati del carattere dell’avventuriera, come i modi spicci e l’aria da panterona capace di sottomettere il maschio alfa, via un paio di taglie di reggiseno, largo alla ragazza della porta accanto, nel fiore della giovinezza, che attraversa una fase interlocutoria della propria esistenza, dilaniata da dilemmi e contraddizioni, alla ricerca di un’identità, di un posto nel mondo e soprattutto della verità sull’omicidio del padre. Shadow of the Tomb Raider, ultimo capitolo della trilogia delle origini di Lara, oggi affidato agli sviluppatori di Eidos Montréal, chiude il cerchio e mette in scena una protagonista disposta a tutto pur di perseguire i propri obiettivi.

Tutto comincia in Messico. L’archeologa è qui per esplorare le tombe di Cozumel, uno degli ultimi scavi visitati dal padre prima di essere assassinato, e stare alle calcagna di un certo Dominguez, leader della Trinità, una sorta di massoneria ritenuta mandante dell’omicidio. Che cosa staranno cercando laggiù? Tra un crepaccio e l’altro, l’avventuriera recupera un antico pugnale ma, dopo un agguato, cade prigioniera della Trinità. Stando a Dominguez, l’archeologa l’ha combinata grossa: il reperto è una chiave dietro cui si cela una maledizione Maya e Lara, appropriandosene, ne ha involontariamente innescato il meccanismo.

L’umanità come la conosciamo non esisterà più, verrà purificata dal peccato e dalla debolezza, a meno che qualche prode non trovi lo Scrigno d’Argento e fermi la catastrofe. Peccato che il manufatto sia in Perù, disperso in un punto imprecisato nei dintorni della città segreta di Paititi. Non c’è tempo per rimuginare: puntuale come il lunedì, arriva l’apocalisse, Cozumel viene rasa al suolo e centinaia di innocenti vanno al Creatore. Morale: ne ammazza più Lara del vaiolo. Come farà a dormire la notte con i sensi di colpa? Fatto sta che durante il tragitto alla volta delle Ande la furia di una tempesta fuori dal comune spezza il velivolo come un grissino. Scampata per miracolo dallo schianto, Lara dovrà sopravvivere nella giungla peruviana e raggiungere Paititi. Senza incappare in facili spoiler, possiamo anticiparvi che il pezzo forte di Shadow of the Tomb Raider non è la trama. Il ritmo impresso al vortice degli eventi riesce a mantenere viva la fiammella dell’interesse, ma la sceneggiatura si rivela priva di sussulti e difetta di intuizioni originali. La tecnica narrativa, pur dal taglio cinematografico, risulta un po’ anonima nelle inquadrature, col risultato che mancano momenti veramente memorabili e alla fine, tutto suona un po’ troppo telefonato. Per esempio, lo spezzone con Lara bambina, pur piacevole, annaspa un po’ troppo tra atmosfere rubacchiate ad Uncharted 4.

© ign

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Attenzione, questo non significa affatto che non vi divertirete in compagnia della signorina Croft: l’impianto di gioco, collaudato e oliato dai due predecessori, in Shadow of the Tomb Raider gira ormai alla perfezione, come se fosse un motore indistruttibile. Torna l’apprezzato mix tra tradizionali dinamiche esplorative, sequenze in cui occorre premere alla svelta una combinazione di tasti e combattimenti dove conviene agire nell’ombra, preferendo l’arco alla pistola e sfruttando nascondigli, coperture di fortuna o espedienti vari per distrarre il nemico.

Ma in paragone al recente passato qui l’archeologa è un’impressionante macchina della morte: Lara può, ad esempio, nascondersi tra i rampicanti o coprirsi di fango per mimetizzarsi stile Predator e vibrare dal nulla una picconata alla giugulare del poveraccio di turno. Oppure, appollaiandosi su un albero, può scagliare una freccia cordata per impiccare il nemico facendolo penzolare dal ramo più alto. Che ne dite, sennò, di ungere il dardo di un veleno in grado di generare una crisi di nervi, inducendo i soldati al fuoco amico? Le tecniche da guerriglia servono per proteggersi anche dalle molestie della fauna locale: dovremo vedercela con bestiacce aggressive quali giaguari, scimmie, piranha, murene, e allora tornerà comodo attivare l’istinto di sopravvivenza e raccogliere le erbette che potenziano i sensi, in modo da avvertire più facilmente la presenza di pericoli.

Il sistema di potenziamento, mai così stratificato, mette sul piatto oltre 60 abilità da sbloccare per imparare nuove strategie, attacchi e comandi fondamentali per portare a casa la pelle. Le possibilità di personalizzazione abbondano anche alla voce equipaggiamento: pistole, mitragliatori, archi, coltelli, possono essere modificati in lungo e in largo oppure acquistati dai mercanti, magari insieme a mirini, silenziatori o cartuccere.

© ign

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Le fasi esplorative inchioderanno allo schermo chi predilige l’avanzamento libero rispetto alla progressione lineare: non saremo certo in zona Grand Theft Auto, ma quanto a metri quadri calpestabili Shadow of the Tomb Raider straccia ogni capitolo della serie. Le ambientazioni colpiscono per intrico e varietà, zeppe come sono di percorsi alternativi da battere e di cose da fare per riprendere fiato dalla campagna principale, come le battute di caccia e, soprattutto, le tombe e le cripte opzionali.

Queste aree extra raggiungono un livello di articolazione e di complessità che metterà alla prova la destrezza e lo spirito di osservazione persino dei fan di vecchia data, che non vedranno l’ora di evitare trappole, risolvere enigmi e rischiare l’osso del collo nello stupefacente dedalo di cunicoli, pertugi e passaggi nascosti architettato dagli sviluppatori. Andar per tombe è impresa alla portata solo di chi padroneggia il sistema di arrampicata, ora ulteriormente affinato grazie all’introduzione di nuove tecniche come la discesa col rampino, che consente di calarsi nel vuoto per raggiungere zone altrimenti inaccessibili.

Ma è solo una volta giunti a Paititi che Shadow of the Tomb Raider scopre tutte le sue carte: la città perduta, vero e proprio trionfo di colori ed elementi iconografici dell’architettura precolombiana, brulica di vita. Paititi è il punto di partenza verso nuove e sensazionali scoperte: i residenti con cui potremo chiacchierare pare non vedano l’ora di appiopparci incarichi secondari, che non sempre si rivelano gratificanti da portare a termine come le tombe, ma permettono di accumulare esperienza e reperire equipaggiamento altrimenti irrecuperabile. E poi servono ad allungare il brodo, con sollievo dell’utenza pronta a ricorrere alle vie legali se un titolo non si trascina come minimo per quaranta ore.

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Tecnicamente parlando, Shadow of the Tomb Raider fa un figurone. Ogni area trabocca fino all’inverosimile di dettagli - come oggetti antichi, incisioni rupestri, ossa, mercanzie, vasellame - in grado di rapire l’attenzione, al punto che spesso ci siamo ritrovati, con segreto piacere, ad ammirare il panorama. Il colpo d’occhio a Paititi raggiunge l’apice ma anche nella giungla non scherza: la ricchezza della vegetazione, la resa dell’acqua, dell’umidità, della fanghiglia, i raggi di luce filtranti nel groviglio delle fronde, convincono senza riserve. Abbiamo invece rilevato qualche sbavatura nella fluidità delle animazioni. I modelli poligonali, compreso quello di Lara, pur ottimamente realizzati, sembrano pesi piuma e purtroppo proprio la protagonista tende a muoversi nervosamente, a scatti, specie nella capriola.

Ma l’aspetto che più impedisce a Shadow of the Tomb Raider di raggiungere l’eccellenza è la mancanza di coraggio nella produzione. Quella confezionata da Eidos Montréal è "solo" una meravigliosa quanto gigantesca comfort zone: a meno che non vestiate per la prima volta i panni dell’archeologa, dopo le prime ore l’aria di già visto e l’impressione che si proceda col pilota automatico cominciano a farsi sentire. Non sta scritto, poi, da nessuna parte che seppellire il giocatore di una montagna cose da fare sia il presupposto minimo di un capolavoro. Siamo convinti che la serie, così come ora strutturata, abbia raggiunto con questo capitolo la massima espressione possibile. Da qui in avanti, magari approfittando della potenza delle prossime console, gli autori dovranno pensare fuori dagli schemi, prendersi dei rischi, introdurre idee e meccaniche veramente nuove. D’altronde se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi, deve averlo detto Tomasi di Lampedusa.

Shadow of the Tomb Raider sarà presente alla prossima Milan Games Week 2018.


Come lo abbiamo giocato

Abbiamo provato Shadow of the Tomb Raider grazie a un codice per il download fornito dal distributore. La prova è avvenuta collegando PS4 Pro a un televisore LG da 60 pollici in Ultra-HD 4K. Il titolo mette a disposizione due opzioni grafiche: una garantisce la massima risoluzione, l’altra una maggior fluidità: dopo averle testate entrambe per un po’, alla fine abbiamo giocato quasi solo con la seconda. Per portare a termine la campagna principale occorrono, a livello normale, dalle 15 alle 20 ore a seconda della vostra abilità.


Può piacere a chi…
… ritiene che il restyling della serie di qualche anno fa abbia fatto bene a Lara
… da un Tomb Raider esige anzitutto gigantesche tombe da esplorare
… ama i giochi-lavoro, zeppi di cose da fare e da vedere

Potrebbe deludere chi…
… si aspettava grossi cambiamenti dal precedente episodio della serie
… avrebbe preferito una sceneggiatura più incisiva e originale per le avventure di Lara
… si annoia con missioni secondarie ripetitive

Shadow of the Tomb Raider è un gioco consigliato ai maggiori di 18 anni.

 


 

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