"What Were You Wearing?" è una galleria d'arte creata negli Stati Uniti per sconfiggere il falso mito che gli stupri siano causati anche dagli abiti delle vittime
Quante volte (sicuramente troppe) dopo un caso di violenza sessuale le vittime, i genitori o gli amici si sono sentiti dire "Ma che vestiti portava?". O, peggio ancora, "Vestita così se l'è cercata", come se gli aggressori fossero stati provocati. Proprio dal desiderio di sconfiggere questa consuetudine nasce "What Were You Wearing?", una mostra organizzata da Jen Brockman, direttrice del Centro per la prevenzione e formazione sessuale del Kansas. Semplice ma non scontato l'obiettivo della mostra nell'ateneo di Kansas City: annullare il senso di colpa dei superstiti e far capire che non possono esistere scusanti.
Today in Lawrence: 18 innocent outfits symbolize 18 sexual assault victims in 'What Were You Wearing?' display. Story on @fox4kc at 6. pic.twitter.com/pIJrYg1SLD
— Rebecca Gannon (@GannonReports) 13 settembre 2017
“Vogliamo che le persone possano vedere se stesse riflesse nelle storie, negli abiti" ha raccontato l'ideatrice. In mostra diciotto indumenti di vita comune con accanto diciotto targhe dove vengono narrate storie di violenze associate all’abito. I racconti sono stati raccolti tra gli studenti del Midwest degli Stati Uniti, che hanno condiviso gli episodi in modi diversi. C’è chi si è affidato ai social e chi si è rivolto ai centri che forniscono assistenza alle vittime di stupro.
Un'iniziativa che sicuramente darà i suoi frutti anche per coloro che hanno subito violenze: "Molti sopravvissuti hanno visitato la mostra - ha infatti spiegato Brockman - e hanno capito che non avevano alcuna colpa". La galleria diventerà presto virtuale e resterà visibile nelle pagine del sito dedicato.