A Tgcom24 parla Marco Lombardi, uno dei 19 esperti reclutati dal governo per la commissione sull'estremismo jihadista nel nostro paese
di Giuliana GrimaldiDopo gli attentati di Parigi, Bruxelles, Dacca, Nizza, Rouen, l'allerta è massima anche nel nostro paese. Alle misure di intelligence e alle espulsioni di personaggi potenzialmente pericolosi, il governo di Matteo Renzi ha voluto abbinare una politica di prevenzione. Per questo ha istituito una commissione di studio con il compito di esaminare lo stato attuale del fenomeno della radicalizzazione e dell'estremismo jihadista in Italia.
Come spiega un comunicato dell'esecutivo, la commissione che si è insediata il primo di settembre "è indipendente e avrà durata di 120 giorni, al termine dei quali redigerà una relazione finale". Ne fanno parte diciannove personalità del mondo dell'università, della ricerca, della comunicazione. Tra loro anche Marco Lombardi, docente di Sociologia, Comunicazione e Crisis Management dell'Università Cattolica di Milano, direttore scientifico della rivista “Sicurezza, Terrorismo e Società – Security, Terrorism and Society” (STS), scientific advisor dell’Osservatorio “terrorismo Globale” di ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Milano), autore del recente volume "Il terrorismo nel nuovo millennio" (Vita e Pensiero). A lui abbiamo chiesto come lavorerà la commissione e se sarà utile a evitare che sul suolo italiano si verifichino attacchi come quello della Promenade des Anglais di Nizza.
Professor Lombardi, qual è la missione della commissione?
Vogliamo fare il punto su quelli che sono i processi di radicalizzazione nel nostro paese. Il primo passo è mettere in relazione le informazioni che già possediamo: i 19 componenti della commissione lavorano infatti sui temi dell'Islam radicale da diverso tempo e da diversi punti di vista. L'obiettivo è da una parte identificare le strategie di prevenzione, dall'altra migliorare la legge già promossa in parlamento da Stefano D'ambruoso (una norma per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista, ndr).
Cosa intendete esattamente per radicalizzazione?
Ci occuperemo della radicalizzazione violenta che riguarda quei soggetti che decidono di esprimerla con aggressività. La radicalizzazione che vogliamo contrastare è insomma quella che sfocia in atti di terrorismo.
Farete solo un'analisi culturale del fenomeno?
Entro 120 giorni dobbiamo produrre una relazione che faccia il quadro sui processi, ma che indichi anche delle ipotesi di contrasto che le istituzioni potranno prendere in considerazione.
Come mai non sono stati coinvolti rappresentanti delle comunità musulmane?
La commissione - che risponde direttamente al Presidente del Consiglio - è molto tarata sull'Italia. I componenti sono esperti italiani in molti casi con relazioni forti a livello internazionale. Alcuni di noi lavorano a Tel Aviv, altri a Washington etc. Per quanto riguarda le relazioni con l'Islam si è voluto sottolineare il fatto che esiste già un Consiglio per l'Islam dentro il Ministero dell'Interno che ha il compito di sviluppare quei processi, quelle intese, quei discorsi di dialogo interreligioso e si è voluto separare i due ambiti perché non ci fossero sovrapposizioni. La commissione è infine, indipendente e con amplissimi poteri quindi potremo consultare o intervistare chiunque ci sembrerà utile all'avanzamento dei lavori.
La commissione è solo preventiva oppure il nostro è un paese che già conosce fenomeni di radicalizzazione?
La commissione è preventiva perché l'obiettivo è quello di evitare la radicalizzazione: questo significa meno persone che vogliono commettere attentati e minore probabilità di attentati. Ma non è compito della commissione fare analisi su dove e come si potrebbero verificare attentati terroristici, questo aspetto compete ad altri organi operativi. Ciò non toglie che l'Italia sia adesso esposta alla possibilità di attacchi.
C'è il reale pericolo che un lupo solitario faccia in Italia un attentato simile a quelli di Parigi, Bruxelles o Nizza?
Quello di un attentato terroristico è un pericolo reale e rilevante in questo momento, c'è poco da fare. Negli ultimi attacchi c'è di tutto e di più e questo è uno dei problemi che stiamo affrontando nella definizione di "radicalizzazione": abbiamo l'attentatore radicalizzato in moschea, quello radicalizzato in prigione, quello radicalizzato in Rete, quello coinvolto dalla famiglia, chi non è affatto radicalizzato nel senso ideologico ma è soltanto arrabbiato e sfoga la propria rabbia abbracciando la bandiera nera, facendosi saltare in aria o ammazzando. In questa abbondanza di varianti, tutto è possibile e gli attentati diventano molto difficili da prevenire. I nuovi processi di radicalizzazione hanno distrutto tutti gli schemi precedenti: le vie che oggi portano gli attentatori ad aderire all'Isis sono eterogenee e spesso simultanee.
Da cosa dipende la minore esposizione del nostro Paese agli attentati di matrice islamica?
Il maggiore disimpegno dell'Italia e la mancanza di enclave alla Molenbeek sono dati oggettivi. A questo aggiungiamo un forte controllo del territorio da parte della criminalità organizzata e una grande capacità dell'intelligence italiana in termini di prevenzione. Ma non dobbiamo ragionare solo in termini di differenza: io dico sempre che dobbiamo ragionare in termini di specificità. Chiediamoci per quali caratteristiche l'Italia potrebbe essere bersaglio di un attentato terroristico.
In che misura il fenomeno del terrorismo è in relazione con quello degli sbarchi di migranti?
Quello che si deve sfatare è il mito che dall'immigrazione dipenda l'irruenza del terrorismo. Bisogna però, considerare che l'immigrazione clandestina può essere utilizzata in maniera consapevole dai terroristi. Da anni il terrorismo fa da service provider, da supporto organizzativo e logistico alle forme di criminalità organizzata che si occupano del traffico di migranti. Ormai abbiamo delle evidenze che c'è la possibilità di utilizzo strategico dei flussi strategici da parte dei terroristi.
Isis è davvero in crisi?
Dopo la morte di Al Adnani, questa domanda è quanto mai attuale e potremmo avere una recrudescenza oltre a un attacco su Mosul e a una perdita di territorio da parte di Daesh. Strappare territorio all'Isis è importante perché così facendo, togliamo al Califfato quella possibilità retorica di proclamarsi Stato, cioè di controllare un territorio. Detto questo, sfatiamo il mito che andando a erodere la zona di influenza di Al Baghdadi riduciamo la possibilità di attentati. Purtroppo quella dell'Isis è un'idea pervasiva, diffusa e delocalizzata.
A livello di comunicazione è d'obbligo una riflessione sulle strategie adottate dal cosiddetto Califfato...
La grande novità dell'Isis è questa: i miliziani sono partiti in maniera tradizionale controllando il territorio, ma in un secondo momento il Califfato è stato in grado di controllare il tempo. L'insistenza nel reclutare i giovani, addirittura i bambini, deve fare riflettere: gli autori degli attentati sono tutti giovanissimi, nati a fine anni Ottanta, inizio anni Novanta. Questo vuol dire controllare le generazioni, mettere un'ipoteca sul futuro. Ecco perché serve una prevenzione più ampia della radicalizzazione. A livello culturale l'Occidente ha sbagliato nel presentarsi con una identità debole: anche noi abbiamo un'identità comune, forte e condivisa. In termini di strumenti la cultura diventa opportunità: da professore universitario voglio continuare a credere che la cultura possa essere declinata come uno veicolo di cambiamento a partire da incontri di identità forti, però.
Qual sarà lo scenario internazione dei prossimi mesi? L'intervento della Russia in Siria ha sbloccato la situazione?
Dove andrà a finire la crisi siriana non lo so. Io la collego al riassetto del Medio Oriente. La Siria ha distrutto il Medio Oriente per quello che abbiamo studiato a scuola. Iran, curdi, Turchia, Qatar, sauditi fanno finta di combattere l'Isis ma stanno gestendo le proprie opzioni per il acquisire potere in questa grande partita per il controllo del nuovo Medio Oriente. Staremo a vedere cosa succederà: in ballo c'è molto di più.
Forse oggi non parleremmo di Isis se si fosse risolta per tempo la crisi siriana. C'è speranza che gli Stati Uniti affrontino finalmente la questione?
Gli Stati Uniti vorrebbero sempre voltarsi dall'altra, ma di fatto oscillano tra la grandi tentazioni egemoniche e l'egoismo, la voglia di pensare solo alle dinamiche interne. Credo che il nuovo presidente americano sarà costretto a mettere il naso in questa grande crisi altrimenti gli Usa dovranno rinunciare alla propria parte di bottino in Medio Oriente.