Folla in festa nella Striscia di Gaza per l'accordo
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Marwan Barghouti è in carcere in Israele: è considerato il leader più carismatico della Palestina e anche un possibile mediatore apprezzato da Tel Aviv. La sua mancata liberazione è letta come la volontà di non andare oltre l'occupazione israeliana e non riconoscere uno Stato palestinese
di Giulia Bassi© Afp
L'accordo raggiunto tra Israele e Hamas prevede, oltre al cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, anche il rilascio di alcuni ostaggi israeliani nelle mani del movimento islamista dal 7 ottobre, e la liberazione di numerosi palestinesi che si trovano in carcere in Israele. Nella lista dei palestinesi che Tel Aviv è disposta a rilasciare, però, non compare Marwan Barghouti, noto anche come il "Nelson Mandela palestinese", uno dei leader più amati e anche rispettati che secondo alcuni rappresenta una delle poche, se non l'unica, figura in grado di mediare per un vero e proprio processo di pace duraturo. Ecco perché, secondo alcuni, la sua mancata liberazione, rende già fragile, e soprattutto temporanea, la tregua in Medioriente.
Ripartiamo dall'accordo: durante i 42 giorni di tregua è previsto il graduale rilascio dei primi 33 ostaggi israeliani, rapiti da Hamas il 7 ottobre, e un altrettanto graduale inizio del ritiro delle forze israeliane dalle aeree più densamente popolate della Striscia di Gaza. L'accordo prevede inoltre che Israele rilasci almeno mille (ma il numero potrebbe aumentare) prigionieri palestinesi, condannati e detenuti nelle carceri israeliane. Ma tra questi, come detto, non figura Marwan Barghouti.
Barghouti è ritenuto un interlocutore credibile, amato dai palestinesi ma riconosciuto anche dagli israeliani. Ami Ayalon, ex direttore dei servizi segreti interni israeliani, ha chiesto più volte, nel corso degli anni, la sua liberazione in quanto "unico leader capace di condurre i palestinesi alla costituzione di uno Stato che conviva con Israele". Secondo un sondaggio effettuato in Cisgiordania a dicembre 2023, Barghouti è ritenuto più popolare del presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen e anche dei leader di Hamas.
Barghouti (moderato e laico, rivoluzionario e intellettuale) è infatti ritenuto una giusta via di mezzo tra l'Autorità nazionale palestinese (che molti palestinesi non riconoscono come autorità capace di fare i loro interessi ma che vedono come compromessa con Israele) e Hamas, organizzazione estremista inserita dall'Occidente tra i guppi terroristici. Quella di Barghouti ormai è diventata una figura mitica e iconica, il suo ritratto compare sui muri da Gaza a Ramallah ed è ritenuto un possibile mediatore, in grado di fare gli interessi dei palestinesi ma anche di dialogare e negoziare con gli israeliani. "Le terre invase nel 1967 devono essere restituite. Voglio che Palestina e Israele siano due Stati uno al fianco dell'altro. Chiediamo solo il rispetto del diritto internazionale", scrisse in una lettera del 2002.
Storico esponente di spicco di al Fatah, Marwan Barghouti ha 65 anni e si trova in carcere in Israele dal 2002: sta scontando cinque ergastoli per aver progettato numerosi omicidi durante la seconda Intifada (2000-2005), vissuta e combattuta da leader palestinese. Nato nel 1959 a Ramallah, in Cisgiordania, ha iniziato a fare attivamente politica quando aveva solo 15 anni e al vertice di Al Fatah, la principale organizzazione della resistenza armata palestinese, c'era Yasser Arafat.
Membro anche dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), ha iniziato a perseguire la causa del popolo palestinese anche attraverso la lotta armata e attacchi terroristici. Ha studiato Storia, Scienze politiche e Relazioni internazionali all'Università di Bir Zeit. È stato in carcere in Israele per la prima volta a 18 anni, ma nel corso degli anni '80 è entrato e uscito di prigione diverse volte.
In qualità di dirigente di al Fatah, Barghouti ha preso parte al lungo processo di negoziati seguito agli accordi di Oslo. Gli accordi di Oslo, a oggi il più concreto e importante tentativo di pace tra israeliani e palestinesi, furono firmati nel 1993 dal leader dell'OLP Yasser Arafat e dal primo ministro israeliano Yitzhak Rabin (che per questo ricevettero il Nobel per la pace): l'OLP, riconoscendo lo Stato di Israele, si trasformò nell’Autorità nazionale palestinese. Fu in questi anni di continui negoziati che prese forma la figura di Barghouti come mediatore: aveva eccellenti rapporti con leader e negoziatori israeliani e parlava un ebraico perfetto. "Era a favore della pace e avevamo un rapporto amichevole", disse di lui Meir Sheetrit, ex ministro ed ex parlamentare del Likud israeliano.
Considerato a lungo l'erede e il successore di Arafat, Barghouti ha visto nel prolungarsi senza esito delle trattative di pace la volontà di Israele di non voler mai arrivare a riconoscere uno Stato palestinese. "Non voglio distruggere Israele ma voglio porre fine all'occupazione del mio Paese", disse dopo aver abbandonato le trattative ed essere divenuto leader della resistenza militare. Nel 2000 è stato accusato (accuse che lui ha sempre respinto) di aver fondato la Brigata dei martiri di al Aqsa (oggi considerata un’organizzazione terroristica) e pianificato operazioni contro l'esercito dello Stato ebraico.
Una volta in carcere, nel 2002, ha portato avanti un notevole attivismo politico, scrivendo editoriali e continuando il dialogo con diversi politici israeliani. Ha lasciato al Fatah e ha iniziato a tenere corsi universitari per gli altri carcerati. Dal 2017 Israele ha ridotto le visite, la moglie (che è sempre stata anche la sua portavoce) ha detto di non vederlo da tempo, e la sua ultima fotografia ufficiale risale al 2012, giorno della sua ultima apparizione in un tribunale.
Da anni, ogni volta che si parla di scambi di prigionieri, esce il nome di Barghouti, ma su questo il governo di Netanyahu è stato chiaro: non sarà liberato. Mossa che in molti leggono come la ferrea volontà del governo di Tel Aviv di non voler arrivare a riconoscere uno Stato palestinese. Per andare oltre il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, serve, infatti, anche la diplomazia: da questo punto di vista Hamas non è giustamente considerato un interlocutore e Abu Mazen non trova il riscontro popolare della sua gente.
Hamas anche dopo il 7 ottobre ha continuato ad arruolare giovani e volontari: sono i giovani palestinesi nati e cresciuti sotto occupazione militare, bombe e morte ovunque, giovani che vedono nella vendetta e nella resistenza la sola arma a disposizione. Per questo, soprattutto in Cisgiordania e nei territori occupati, cresce la convinzione che una figura mitica come quella di Marwan Barghouti sarebbe una chance concreta per un nuovo processo di pace, fatto di diplomazia e negoziati. Ma un processo di pace ha bisogno di due sponde, e quella palestinese è dietro le sbarre in Israele. La mancata liberazione di Barghouti è letta come la volontà di non andare oltre l'occupazione israeliana e la frammentazione politica nei territori occupati, entrambi punti fermi della politica di Netanyahu. Ed entrambi punti che prevedibilmente renderanno fragile, e temporanea, la tregua su Gaza.
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