L'ex vice del Mullah Omar era stato scarcerato tre anni fa su richiesta degli Stati Uniti, coi quali ha firmato gli accordi di Doha nel 2020
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Abdul Ghani Baradar è senza dubbio uno degli artefici della vittoria militare dei talebani in Afghanistan. L'uomo che sembra destinato a guidare il ritorno dell'Emirato islamico, nuovamente proclamato dopo vent'anni dai talebani, era stato rilasciato tre anni fa da un carcere pakistano su espressa richiesta degli Stati Uniti, che nel 2010 l'avevano fatto catturare a Karachi. Baradar ha firmato gli accordi di Doha con gli Usa nel febbraio 2020.
Liberato per negoziare la transizione con l'ormai ex governo di Ashraf Ghani, Baradar è riuscito di fatto a congelare i colloqui di pace a Doha fino al giorno del vittorioso ritorno in armi a Kabul degli "studenti coranici" e adesso è pronto a coglierne i frutti. Il suo annunciato rientro in patria dopo un ventennio in esilio, trascorso tra celle oscure e prestigiosi incontri diplomatici, gli restituisce un ruolo di guida sul campo, dopo essere stato il capo politico nelle trattative con le grandi potenze internazionali.
La fondazione dei talebani e il Mullah Omar - Originario della provincia centro-meridionale di Oruzgan, il 53enne Baradar fu tra i fondatori dei talebani alla metà degli Anni Novanta, dopo aver combattuto contro l'esercito sovietico e fondato la sua madrasa per l'insegnamento del Corano. Agli ordini del mullah Mohammad Omar, il leader carismatico morto nel 2013, di cui risultava anche cognato, ha ricoperto ruoli di governo a Kabul prima di fuggire in Pakistan a seguito dell'intervento americano, entrando a far parte della Shura di Quetta, il direttivo talebano in esilio.
Il mullah Akhundzada - Se oggi Baradar può essere considerato il principale volto pubblico del movimento jihadista, il leader ufficiale, cui sulla carta spetta l'ultima parola sulle decisioni chiave, è invece dal 2016 il mullah Hibatullah Akhundzada. Ritenuto un riferimento sul piano religioso ancor prima che militare, autore di molte delle fatwa (i responsi di diritto islamico) emesse a nome del gruppo, si è affermato come figura di garanzia e continuità dopo l'uccisione nel raid di un drone di Akhtar Mansur, di cui era il numero 2. Originario di Kandahar, come i suoi predecessori a capo dei Talebani, il sessantenne Akhundzada ha mantenuto secondo gli analisti il rapporto privilegiato con Al Qaeda e la decisa opposizione alle infiltrazioni dell'Isis. Al contrario di altri leader degli studenti coranici, avrebbe trascorso in patria buona parte dell'ultimo ventennio nascosto all'esercito americano. La sua ultima apparizione nota in pubblico risale al 2016.
I vice Haqqani e Yaqoob - Sul terreno della strategia militare, le figure più accreditate nella preparazione ed esecuzione della campagna lampo che ha riportato al potere i talebani sono tuttavia quelle dei suoi due "vice". Si tratta del cinquantenne Sirajuddin Haqqani - figlio dello storico comandate mujhaeddin Jalaluddin e signore della guerra a capo dell'omonima rete di milizie, attiva soprattutto al confine con il Pakistan - e del mullah Mohammad Yaqoob, figlio del mullah Omar e il più giovane tra i comandanti principali (poco più che trentenne). Accanto al prestigio familiare nell'ambiente jihadista, quest'ultimo avrebbe secondo diverse fonti costruito un rapporto diretto con numerosi comandanti di milizie locali, che potrebbe valergli un ruolo centrale nella prossima gestione del potere e alimentarne le ambizioni di leadership.