Fotoreporter italiano ucciso due anni fa a Bangkok. Indagini ferme per un anno e ora il processo
© Dal Web
Il 23 luglio è iniziato il processo. Il 17 settembre si terrà la seconda udienza. Fabio Polenghi è il fotoreporter italiano che perse la vita il 19 maggio 2010 a Bangkok, in Thailandia, mentre testimoniava il conflitto intestino tra esercito e le cosiddette Camicie Rosse. Isabella, sorella di Fabio, racconta a Tgcom24 le difficoltà incontrate nel far luce su ciò che accadde al fratello. In un primo momento le autorità locali avevano dichiarato che Fabio fosse stato vittima di una granata lanciata da terroristi.
Isabella, lei ha spesso denunciato i tentativi di ostacolare le indagini. Cosa è successo in in questi due anni?
“In Thailandia esiste un dipartimento, il Dsi (special department investigation) simile all’Fbi. E in questo ufficio nessuno muoveva un dito. Sono andata due o tre volte e ho scoperto che dopo due mesi non conoscevano ne’ il luogo ne’ l'ora dell’omicidio di mio fratello. Lo confondevano addirittura con un altro giornalista ferito che si trovava dall’altra parte della barricata”.
E il governo asiatico come si è comportato?
“Quello di allora dichiarò spesso il falso, soprattutto in televisione”.
Le hanno sbattuto la porta in faccia?
“Mi hanno trattata bene. Hanno una cultura rispettosa nelle formalità. Non so dire se le indagini siano state fatte in mala fede”.
E poi cosa è cambiato?
“Ho chiesto che l’inchiesta passasse alla polizia metropolitana di Bangkok. Nel contempo è cambiato il governo e con alcune “Camice rosse” in parlamento c’è stata una svolta. Dopo sei mesi di indagini della polizia si è arrivati in tribunale”.
Ha avuto l’appoggio dal governo italiano?
“Quando accade una cosa così il Ministero degli Esteri apre un fascicolo d’ufficio ma la rogatoria internazionale partita dalla procura di Roma è arrivata solo due giorni prima il 23 luglio (giorno della prima udienza ndr.). Il documento servirebbe all’Italia per accedere ai documenti dell’indagine”.
L'Italia cosa avrebbe potuto fare?
“Rivolgersi all’Aia nel momento in cui decidesse che la Thailandia non stesse svolgendo bene il proprio dovere. La Corte internazionale però, in genere, non si muove per un caso singolo. Un fascicolo sui fatti è stato aperto su segnalazione di un avvocato chiamato dalle Camice rosse”.
Quindi si sarebbe aspettata di più…
“Quello che manca è la volontà di porre attenzione al caso. Per il cameraman giapponese della Reuters Hiroyuki Muramoto, anche lui ucciso il 10 aprile, l’ambasciata giapponese fa un comunicato stampa ogni mese e tiene informati i suoi cittadini in Thailanda. Il ministro degli Esteri giapponese chiedeva spesso al suo omologo Thailandese come andavano le indagini. C’è stata una pressione politica ben diversa rispetto a quella italiana”.
Com'è l’attenzioni pubblica sul processo in Thailandia?
“Fortissima. Fabio è amatissimo. E’ più conosciuto che in Italia e a ogni manifestazione viene portata la sua fotografia.
Ora si trova in Thailandia?
“Sto organizzando il mio viaggio, da due anni faccio avanti e indietro. Ci tengo ad esserci visto che a testimoniare saranno i militari dell’esercito”.
Chi sono gli imputati?
“Le indagini della polizia hanno stabilito che ad aver ucciso mio fratello sia stato un proiettile dall’esercito. I risultati hanno covinto il procuratore che ha ritenuto di portare in tribunale”.
Come si svolgono i processi in Thailandia?
“Sono simili ai nostri con tre gradi di giudizio”.
La sua famiglia si è costituita parte civile?
“Mia madre. Ma il processo sarebbe andato avanti anche se non fosse accaduto”.
Quali sono i tempi dei processi in Thailandia?
“L’esercito non ha mai ricevuto un’imputazione, questo è un passo da gigante”.
Cosa si aspetta dal processo?
“Io vado avanti con lo stesso spirito del primo momento. Con speranza ma senza aspettative. Non pretendo di avere l’assassino di mio fratello. La Thailandia è un paese con molte difficoltà dove l’esercito ha grande influenza sulla politica”.
Quale sarebbe un buon risultato?
“Rompere una consuetudine dove nessuno si perde responsabilità. Mi piacerebbe che ciò che è accaduto a Fabio facesse parte di una piccola rivoluzione”.