novità degli affidamenti

Ragazza down vince in tribunale contro genitori

Usa, una 29enne affetta dalla sindrome di Down ha avuto la meglio nell'azione legale in cui era opposta ai genitori; Jenny infatti non voleva rimanere nelle case famiglie a cui era stata affidata

03 Ago 2013 - 17:58
 © Dal Web

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Jenny Hatch, una ragazza 29enne affetta dalla sindrome di Down, ha vinto una battaglia legale contro i propri genitori. La storia proviene da Newport News, città americana dello Stato della Virginia; il tribunale locale ha sancito una sentenza storica, che creerà un precedente importante per l’affidamento delle persone, diversamente abili e non.

I giudici infatti hanno stabilito che Jenny potrà decidere dove abitare e con chi stare. Questo perché la madre e il patrigno decisero di affidarla ai servizi sociali e, di conseguenza, a una casa famiglia. La ragazza però non ne ha mai voluto sapere di vivere in questo genere di struttura, tanto che è scappata da diverse di queste case. Finché non ha trovato Kelly Morris and Jim Talbert, la coppia che nel marzo 2012 l’ha accolta in casa e le ha dato un lavoro in uno dei loro thrift shop, l’equivalente di un mercato delle pulci.

Da qui il desiderio di Jenny, il cui nome completo è Margaret Jean Hatch, di rimanere con coloro che le hanno aperto le porte di casa. Si è così aperta una diatriba giudiziaria, in quanto il volere dei suoi genitori era contrario a questa scelta, preferendo vederla in qualche organizzazione per il supporto della sindrome. Il giudice però ha preso una decisione coraggiosa: Jenny ha sì bisogno di un tutore per aiutarla a prendere decisioni, ma ha anche preso in considerazione le sue preferenze. Ha designato Morris e Talbert come suoi tutori temporanei per il prossimo anno, con l'obiettivo di aiutarla a raggiungere una maggiore indipendenza.

Una possibile svolta quindi nella questione dei diritti dei disabili. Jenny ha ottenuto di stare dove vuole, incapace di rimanere in strutture che, per sua ammissione, la trattavano come una bambina. I genitori hanno presentato istanza di tutela, convinti che un ambiente domestico di gruppo le avrebbero offerto un ambiente più sicuro, riporta il Washington Post.

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