Speciale Giornata della Memoria 2025: ricordare la Shoah per non dimenticare
GIORNATA DELLA MEMORIA

Shoah, 80 anni fa la liberazione di Auschwitz: la fine dell'incubo e la scoperta dell'orrore

I soldati sovietici non avevano la minima idea di quello che avrebbero trovato, dopo settimane di marcia. Con i cancelli neri di Auschwitz, si aprirono al mondo i segreti della disumana ferocia nazista

di Maurizio Perriello
27 Gen 2025 - 08:02
 © Afp

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Il 27 gennaio 1945 faceva un freddo da paura. I soldati sovietici erano in marcia da settimane, attraverso le piane dell'Europa orientale gelate dall'inverno. Non avevano la minima idea di quello che avrebbero trovato appena fuori Oświęcim, nome polacco di Auschwitz. Gli uomini della 332esima divisione di fanteria dell'Armata Rossa furono i primi ad arrivare di fronte a un cancello con sopra la scritta arbeit macht frei, "il lavoro rende liberi". Dietro quel ferro nero e congelato, si stagliava il più grande campo di sterminio costruito dai nazisti in Polonia. La prima cosa che trovarono furono i magazzini, strapieni di vestiti e oggetti: occhiali, pentole, scarpe, cappelli. Nel lager erano rimasti però anche settemila prigionieri, emaciati e distrutti dagli stenti, ma sopravvissuti all'inferno della Shoah. Aprendo i cancelli neri di Auschwitz e liberando i superstiti, i sovietici misero il timbro "fine" sulla follia nazista e idealmente sulla Seconda Guerra Mondiale, e rivelarono anche al mondo tutto l'orrore di cui si era macchiato il regime di Adolf Hitler. Ecco perché, oggi più di ieri, il 27 gennaio è la Giornata della Memoria. Ecco perché, ancora oggi, è necessario ricordare.

L'arrivo dei sovietici ad Auschwitz nel 1945

 La liberazione del campo di Auschwitz, seguita nell'aprile del 1945 da quelle di Dachau e Buchenwald, ha mostrato al mondo intero l'incubo altrimenti incredibile del genocidio nazista e dello sterminio del popolo ebraico. Un orrore vivissimo tanto nei racconti dei testimoni sopravvissuti quanto negli strumenti di tortura e morte utilizzati nei lager. Dalle memorie dei soldati che liberarono il campo di Auschwitz, emerge un elemento comune: quando vi entrarono c'era un silenzio spettrale. Sembrava non ci fosse anima viva. Invece, dopo minuti lunghissimi in cui i prigionieri realizzarono che gli arrivati non erano i loro aguzzini, migliaia di loro raccolsero le poche forze rimaste per piangere e abbracciarsi.

"Si precipitarono verso di noi gridando, caddero in ginocchio, baciarono i lembi dei nostri cappotti e ci gettarono le braccia attorno alle gambe", ha raccontato Grigorii Davidovich Elisavetskii, uno dei primi soldati dell'Armata Rossa a entrare ad Auschwitz. Dopo cinque anni di inferno, il campo della morte era stato finalmente liberato. Circa due settimane prima della liberazione, i nazisti erano fuggiti in fretta e furia, pressati dall'avanzata dell'Armata Rossa. Quel ripiego rapido e terribile divenne una "marcia della morte", nella quale verso altre strutture tutti i prigionieri ancora vivi. Molti di loro morirono lungo il percorso, costretti a formare lunghe colonne e gli fu detto di camminare verso ovest. Chi resisteva continuava a camminare, mentre coloro che cadevano venivano fucilati e lasciati indietro. Un percorso lastricato di 15mila morti, abbandonati sulla gelida terra. Coloro che rimasero furono costretti a salire su vagoni merci scoperti e spediti in campi nella Germania interna, ancora sotto il controllo del Reich.

Sui numeri non ci sono certezze, ma secondo i dati dell'Us Holocaust Memorial Museum, nel campo di Auschwitz le SS tedesche uccisero almeno 960mila ebrei, 74mila polacchi, 21mila rom, 15mila prigionieri di guerra sovietici e 10mila persone di altre nazionalità. Nel piccolo centro polacco persero la vita più esseri umani che in qualunque altra struttura della morte nazista. Inizialmente i tedeschi concepirono Auschwitz come un campo di concentramento, come quelli già utilizzati da americani e britannici dalla fine dell'Ottocento, in cui sfruttare il lavoro gratis dei prigionieri. I primi detenuti giunsero lì già nel maggio del 1940. Nel giro di cinque anni quelle terribili camerate contarono la deportazione di 1,3 milioni di persone. Un milione e centomila di loro non sarebbero mai tornate a casa.

Il piano nazista per Auschwitz

 I tedeschi sapevano da tempo che avrebbero dovuto abbandonare Auschwitz, ma progettarono di utilizzarlo il più a lungo possibile. L'obiettivo era sfruttare al massimo i lavoratori, la cui manodopera schiavistica era stata affittata ad aziende che producevano sostanze chimiche, armamenti e altri materiali. Verso la fine del 1944, i nazisti non erano ancora sicuri che gli Alleati sarebbero arrivati ​così a fondo in Polonia. Mentre attendevano l'inevitabile, procedettero con un'evacuazione preliminare, fondando persino un "sotto-campo" presso un'acciaieria. Mentre pianificavano un'evacuazione di massa, che poi sarebbe stata rocambolesca, i tedeschi iniziarono a distruggere le prove dei loro crimini. Uccisero la maggior parte degli ebrei che avevano lavorato nelle camere a gas e nei forni crematori di Auschwitz. Poi passarono a demolire la maggior parte dei luoghi di sterminio. Inclusi gli archivi in cui erano conservati i meticolosissimi documenti sulla vita dei prigionieri.

Antisemitismo e leggi discriminatorie

 Hitler prese il potere in Germania nel 1933. Fin dagli inizi del suo comando, e anche prima nell'ascesa alla cancelleria e nell'indottrinamento dei tedeschi, il Führer pose al centro il mito della razza ariana. Nel Mein Kampf, scritto nel 1925 in prigionia, aveva scolpito che tutta la storia non è altro che la risultante dell'eterna lotta tra le razze per la supremazia, e che la guerra è l'espressione naturale e necessaria di questa lotta. Il vincitore, cioè la razza più forte, avrà dunque il diritto di dominare tutti gli altri. Secondo Hitler, quest'unica etnia superiore, destinata a dominare il mondo, era la razza ariana. Per ragioni politiche e sociali, per coagulare e aizzare il suo popolo, il dittatore elesse gli ebrei a nemico principale. Sfruttando il secolare carico di odio sociale e di rabbia atavica, di diffidenza e di eventi storici rielaborati in chiave tendenziosa, che specialmente in Europa orientale ha sempre inondato l'opinione pubblica nei confronti della popolazione ebraica. Nell'attuazione di questa ideologia, fin dal 1933 vennero varate numerose disposizioni discriminatorie nei confronti degli ebrei, il cui culmine è rappresentato dalle Leggi di Norimberga (1935), in cui si riservava la pienezza dei diritti ai cittadini di sangue tedesco o affine (Legge sulla cittadinanza) e il divieto di matrimoni tra ebrei e cittadini di sangue tedesco o affine (Legge per la protezione del sangue e dell'onore tedesco).

I campi di concentramento

 Con la Conferenza di Wannsee, organizzata a Berlino nel gennaio 1942, lo Stato maggiore nazista decise di realizzare anche una serie di strutture dedicate alla detenzione e al confinamento di tutti coloro che il regime considerava nemici razziali, ideologici o politici del popolo tedesco. Erano i campi di concentramento. Questi campi potevano essere di prigionia, di lavoro forzato o di sterminio vero e proprio. Sterminio non scientificamente perseguito, almeno all'epoca della loro progettazione, ma che sarebbe sopraggiunto per via del lavoro massacrante, delle pessime condizioni di vita e delle camere a gas (queste, sì, introdotto per la cosiddetta "soluzione finale"). Questi campi non venivano utilizzati soltanto per il nemico principale, gli ebrei, ma fin dal 1933 videro la deportazione di centinaia di migliaia di oppositori politici. L'obiettivo del regime hitleriano divenne quello di uccidere i prigionieri in modo sistematico e massificato.

Quando è stato istituito il Giorno della Memoria

 Il Giorno della Memoria è stato istituito il 1° novembre 2005 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. In Italia la giornata commemorativa è stata invece proclamata per legge nel 2000 in ricordo delle vittime dell'Olocausto e delle leggi razziali, nonché di coloro che hanno protetto gli ebrei perseguitati, mettendo a rischio la propria vita, e di tutti i militari e politici italiani deportati in Germania durante il secondo conflitto mondiale.

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