Birmania, continua la repressione delle proteste contro il golpe
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Alle vittime si aggiungono le centinaia di arresti. Sono stati presi di mira anche i giornalisti, con almeno sei in detenzione
Sono 38 i morti nelle manifestazioni di protesta in Birmania nella sola giornata di mercoledì. Lo ha riferito l'inviato dell'Onu, Christine Schraner Burgener. "Siamo così arrivati a oltre 50 morti dall'inizio del colpo di Stato e molti feriti", ha aggiunto. Poi ha precisato che le Nazioni Unite mantengono i contatti con tutte le parti in Birmania, compresi i militari e questi ultimi hanno assicurato di voler svolgere libere elezioni "tra un anno".
Gli agenti hanno sparato proiettili veri a Monywa, Mandalay e Myingyan, a volte senza il preavviso di lacrimogeni e proiettili di caucciù. Il drammatico bilancio odierno delle vittime, annunciato dall'inviato dell'Onu, giunge in scia a un altro weekend di sangue, con almeno 18 morti.
Tesissima la situazione anche nel nord di Yangon, nel quartieri di North Okkalapa: dalla zona, a cui le forze di sicurezza hanno vietato l'accesso ai media, sono stati diffusi video di guerriglia urbana, con barricate di fortuna date alle fiamme dalla polizia e foto di giovani uccisi con colpi alla testa.
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Con il Paese chiuso ai giornalisti stranieri anche per l'emergenza Covid, che ora fa gioco alla giunta, i birmani si appellano al mondo rilanciando sui social media post disperati in cui gli agenti sono ormai "terroristi", e lo sgomento verso la brutalità del regime cresce sempre più.
Ai morti si aggiungono le centinaia di arresti, che hanno fatto salire il totale ad almeno 1.300. Sono stati presi di mira anche i giornalisti, con almeno sei in detenzione per reati che vanno dalla diffusione di informazioni false all'incitamento di dipendenti pubblici alla disobbedienza.
Il generale golpista Min Aung Hlaing si è dimostrato finora sordo a qualsiasi appello internazionale, sia a fermare la violenza sia a liberare i politici detenuti, a partire da una Aung San Suu Kyi, tenuta prigioniera con quattro capi di imputazione farseschi.
L'appello alla "riconciliazione costruttiva" da parte della solitamente timida Associazione dei Paesi del Sud-est asiatico (Asean) e un'esortazione per una "soluzione pacifica" da parte di Singapore sono caduti nel vuoto. Papa Francesco ha lanciato un appello al mondo "affinché le aspirazioni del popolo del Myanmar non siano soffocate dalla violenza". Anche le minacce di sanzioni da parte di Stati Uniti e Unione europea sono state finora inutili. E nonostante i morti e le sparatorie ormai quotidiane, la popolazione continua a scendere nelle strade.