Nel voto di mercoledì le proposte alternative avranno la precedenza sull'accordo della May con la Ue
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La Camera dei Comuni ha approvato un emendamento sulla Brexit destinato a dare "la precedenza" mercoledì al voto su proposte alternative di piani B promossi in Parlamento, rispetto all'eventuale terzo tentativo di ratifica dell'accordo May. E quindi a passare il controllo dell'iter a Westminster. L'emendamento, promosso dai Tory dissidenti Oliver Letwin e Dominic Grieve e dal laburista Hilary Benn, ha ottenuto 329 sì e 302 no.
Un bastimento in alto mare, con l'equipaggio diviso sulla direzione da prendere, tentato dall'ammutinamento, ma incapace per ora di togliere il timone alla capitana. E' l'immagine della Gran Bretagna in turbolenta navigazione verso la Brexit che torna a emergere dall'ennesimo dibattito alla Camera dei Comuni. Segnato ancora una volta dal braccio di ferro fra la premier Theresa May (all'angolo, eppure decisa per ora a non dimettersi) e un Parlamento che tuttavia si mostra infine capace di provare a sottrarle il controllo.
Annunciata di nuovo come cruciale, la settimana che si è aperta dopo la proroga a doppia opzione concessa dall'Ue (dal 29 marzo al 22 maggio in caso di ratifica dell'accordo di divorzio, al 12 aprile in caso di nulla di fatto) rischia di non essere in realtà più decisiva di tante altre presunte settimane cruciali recenti. La prima decisione di giornata è un rinvio. Theresa May, nel suo statement, ammette che "allo stato non c'è ancora un consenso sufficiente" per l'intesa da lei raggiunta con Bruxelles a novembre e già bocciata due volte clamorosamente a Westminster. Ma non per questo la ritira dal tavolo. Si limita a prendere tempo, aggiornando a data da destinarsi l'ipotesi di un terzo voto di ratifica. L'impegno del governo rimane quello di cercare il consenso sul piano A, insiste May a dispetto del nuovo 'no' incassato oggi dai vitali alleati unionisti nordirlandesi del Dup. E nonostante la marcia del milione di anti-Brexit di Londra e la petizione firmata da 5,5 milioni di persone, la premier non smuove la propria contrarietà a un secondo referendum che sarebbe un tradimento del "dovere di attuare il risultato del primo" sancito da "17,4 milioni di elettori" nel 2016.
La premier si rifiuta d'indicare una sua exit strategy precisa e, per quanto indebolita, pare tener botta di fronte alle ambizioni di chi vorrebbe sfilarle la poltrona: che si tratti di eventuali "traghettatori", come il moderato vicepremier de facto, David Lidington, o di pretendenti veri come il tribuno euroscettico Boris Johnson. "C'è un lavoro da fare e intendo continuare a svolgerlo", risponde secca lady Theresa a una deputata d'opposizione che la provoca su un imminente passo indietro. Un'ostinazione che e' ormai "motivo d'imbarazzo nazionale", l'attacca nel botta e risposta ai Comuni il leader dell'opposizione laburista, Jeremy Corbyn. Scommettendo sul proprio piano B per una Brexit più soft che si dice certo possa trovare "il consenso della Camera" dopo quello ottenuto in un appello congiunto senza precedenti "di sindacati e Confindustria". Scommessa che nell'emendamento approvato stasera - non senza il voto ribelle favorevole di 3 sottosegretari ora dimissionari, Richard Harrington, Steve Brine e Alistair Burt - trova senza dubbio un motivo di speranza in più.