La caduta del regime di Assad in 100 scatti fotografici
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Domenica 8 dicembre 2024 si sbriciola dopo 54 anni il regime siriano ad opera dei ribelli che entrano a Damasco senza nemmeno sparare un colpo. Giallo sulle sorti di Assad che poi si scopre essersi rifugiato da Putin. Israele occupa il Golan, l'Ue plaude la caduta del despota mentre Trump nicchia. E alla fine un solo vincitore: il turco Erdogan
Il blitz dei ribelli durato 11 giorniAssad ottiene asilo politico a MoscaLa caduta di Assad è una sconfitta per l'IranLa mossa di Israele: occupata la zona cuscinetto del GolanLe reazioni: Ue plaude la fine di Assad, Trump noErdogan il grande vincitore del terremoto siriano
Dopo 54 anni il regime siriano si è sbriciolato in poche ore, nella notte tra sabato e domenica i ribelli guidati dal gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham sono entrati a Damasco. L'esercito regolare si è arreso senza sparare nemmeno un colpo mentre il presidente Bashar al Assad era già fuggito. In un video trasmesso dalla tv pubblica siriana i ribelli hanno annunciato la caduta del regime e "la fine della tirannia dopo 50 anni". Il premier Mohammed Ghazi Jalali ha teso loro la mano e resterà formalmente nel suo ruolo fino alla completa transizione dei poteri. Abu Muhammad al Jolani (qui puoi leggere chi è), leader degli insorti, è arrivato ore dopo a Damasco ed è stato ripreso mentre baciava la terra. Poi, parlando alla folla all'interno della moschea degli Omayyadi ha definito il rovesciamento del regime "una vittoria per la nazione islamica".
Le fazioni armate siriane di opposizione, responsabili dell'operazione che ha portato alla caduta di Assad, hanno dichiarato lavorare per formare un governo transitorio in Siria con pieni poteri esecutivi. A poche ore dall'annuncio della caduta del governo di Assad, il premier Al Jalali ha ribadito di essere pronto a collaborare con qualsiasi leadership a condizione che sia scelta dal popolo. Secondo quanto riferito a "Ria Novosti" da una fonte vicina alla leadership dell'opposizione armata siriana, i jihadisti hanno stabilito canali di comunicazione con il governo russo. L'opposizione siriana sta cercando di formare "un governo di unita' nazionale" che rappresenti tutti i gruppi sociali e "che stringa relazioni diplomatiche con altri paesi", ha aggiunto la stessa fonte.
La gioia è esplosa per le strade, con i civili che sventolavano bandiere e sparavano in aria per festeggiare. Le carceri sono state aperte e migliaia di detenuti sono tornati in libertà. L'aeroporto è stato evacuato e tutti i voli rimarranno a terra fino al 18 dicembre. I ribelli hanno fatto irruzione nel palazzo presidenziale e anche in alcune sedi diplomatiche, alla ricerca di uomini del regime.
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Dopo il lancio dell'offensiva del 27 novembre nel nord-ovest della Siria, che ha portato alla rapida caduta di Aleppo e Hama, gli scontri si sono diffusi anche al resto del Paese. La caduta di Homs e Daraa, in particolare, sono state strategiche per l'ingresso dei ribelli a Damasco. Oggi, inoltre, le fazioni armate hanno preso il controllo della città di Manbij, situata a nord di Aleppo. Manbij, città di circa 100mila abitanti strategica per la sua vicinanza alla frontiera turca, è stata contesa per molto tempo tra le Forze democratiche siriane (Fds, coalizione di milizie a maggioranza curda sostenuta dagli Stati Uniti), il governo di Assad e i gruppi ribelli sostenuti da Ankara. La caduta della citta' nelle mani dei ribelli è significativa per gli equilibri geopolitici della regione.
Un gruppo armato è entrato anche nel giardino della residenza dell'ambasciatore italiano a Damasco, ma il ministro degli Esteri Tajani, che ha convocato una riunione d'urgenza alla Farnesina, ha assicurato: "Non c'è stata violenza nei confronti né dell'ambasciatore e né dei carabinieri. Hanno portato via soltanto 3 automobili e tutto è finito lì". Alcuni hanno approfittato del caos per compiere saccheggi che hanno costretto le nuove autorità a imporre il coprifuoco nella capitale fino alle 5 di lunedì mattina. Ma il sollievo per la caduta di Assad ha raggiunto anche il vicino Libano, dove centinaia di sfollati siriani si sono radunati al valico di Masnaa impazienti di fare ritorno in patria.
Mentre la Russia ha fatto sapere che Assad si è dimesso dal suo ruolo di presidente ed è arrivato con la famiglia a Mosca, dove gli è stato concesso l'asilo politico. Dopo giorni di voci, smentite e speculazioni, dal Cremlino è arrivato l'annuncio ufficiale della presenza di Assad e della sua famiglia. E la Russia, alleato storico del rais caduto in rovina, ha concesso loro l'asilo "per motivi umanitari", mettendo la parola fine al mistero che per giorni ha fatto correre all'impazzata le ipotesi più disparate sulla sorte del leader destituito, dal rifugio a Teheran, negli Emirati o in Africa, a chi addirittura lo aveva dato per morto, con il suo aereo abbattuto prima di lasciare il Paese.
Quella della fuga a Mosca era l'ipotesi più accreditata per l'epilogo del fu leader siriano. La Russia è da sempre convinta sostenitrice di Assad, per il quale è intervenuta militarmente nel 2015 per dargli man forte nella guerra civile: un intervento cruciale, all'epoca, per la salvezza del regime alawita e delle strategiche basi russe nel Paese. Solo una settimana fa, mentre prendeva forma l'offensiva lampo dei ribelli, il rais si era recato nella capitale russa per confrontarsi con Vladimir Putin. E i legami con la Russia si estendono anche ai familiari del deposto presidente siriano: Hafez al Assad, il figlio maggiore, studia nella capitale russa dal 2016 e venerdì scorso - proprio nei giorni in cui il padre ha visitato Mosca - ha conseguito un dottorato in Scienze fisiche e matematiche, alla presenza tra gli altri della madre Asma, che sta curando una leucemia.
Secondo il Wall Street Journal che cita funzionari arabi e siriani, la moglie e i figli di Assad sono rimasti in Russia da fine novembre, mentre i suoi cognati sono partiti per gli Emirati Arabi Uniti. Dopo la caduta di Damasco e l'annuncio da parte dei ribelli della fuga del presidente, era stata proprio Mosca a confermare che Assad aveva abbandonato la Siria, insieme alle sue funzioni di capo di Stato, in un comunicato secondo cui - a conferma di alcune indiscrezioni riportate sabato sera da Bloomberg - l'ormai spodestato rais aveva negoziato la sua uscita di scena con "alcuni partecipanti al conflitto".
Resta poco chiaro quando Assad abbia messo in atto la sua fuga: secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha molte fonti sul campo, l'ex presidente è partito con un volo privato decollato dall'aeroporto di Damasco alle 22 locali di sabato sera. Secondo invece due alti ufficiali dell'esercito siriano citate da Reuters online, Assad è salito su un aereo domenica mattina presto a Damasco. A conferma di questa tesi, un volo della Syrian Air è decollato dallo scalo della capitale all'incirca nel momento in cui la città è stata presa dai ribelli, secondo i dati del sito web Flightradar. Inizialmente l'aereo ha volato verso la regione costiera siriana, roccaforte alawita, per poi fare una brusca inversione a U e scomparire dalla mappa dopo pochi minuti. Una sparizione dovuta con ogni probabilità allo spegnimento del transponder per non farsi rintracciare, ma che inizialmente aveva fatto ipotizzare - da fonti siriane citate da Reuters - anche un possibile abbattimento dell'aereo. Quale che sia il volo utilizzato, dopo aver lasciato Damasco Assad ha raggiunto con ogni probabilità la base russa a Hmeimim, nel governatorato di Latakia, per poi decollare alla volta di Mosca.
Prima Hamas, poi la decapitazione delle milizie di Hezbollah e ora la caduta del regime siriano: in circa tre mesi l'Iran ha perso la profondità strategica che proiettava il suo potere fino al Mediterraneo, la vera arma che per decenni gli aveva consentito di tenere testa alla potenza americana e a Israele. Ora la scelta potrebbe cadere su un'altra arma, quella nucleare, la sola, come insegna l'esempio della Corea del Nord, che renderebbe intoccabile la Repubblica islamica.
La caduta di Bashar al Assad "è come la caduta del muro di Berlino per l'asse iraniano", ha dichiarato un funzionario dei Guardiani della rivoluzione di Teheran al New York Times, che ha parlato di "panico totale" diffusosi tra i vertici iraniani dall'inizio dell'inarrestabile avanzata dei ribelli e jihadisti in Siria. Teheran "adotterà un approccio e posizioni adeguate" a seconda degli "sviluppi in Siria e nella regione, nonché del comportamento degli attori" sul terreno, ha commentato il ministero degli Esteri. Un approccio politico, ma non si può escludere nulla anche in campo militare. E il pensiero corre inevitabilmente al programma nucleare. Nel settembre scorso il ministro degli Esteri, Abbas Araghchi, aveva affermato che erano in corso tentativi per riprendere i colloqui per rilanciare l'accordo sul nucleare del 2015, dal quale gli Usa erano usciti tre anni più tardi per decisione del presidente Donald Trump.
Poi, però, erano arrivati gli attacchi ai comandanti di Hezbollah in Libano e l'uccisione in un raid su Beirut del loro capo, Hassan Nasrallah. I bombardamenti sulla Siria avevano inoltre colpito le linee di rifornimento per i combattenti del Partito di Dio sciita. Stretta all'angolo sul terreno, Teheran ha annunciato il mese scorso che stava mettendo in funzione "nuove e avanzate" centrifughe per l'arricchimento dell'uranio. E nei giorni scorsi il direttore generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), Rafael Grossi, ha detto che l'Iran sarà in grado di produrre 34 chilogrammi di uranio arricchito al 60% rispetto ai 4,7 chilogrammi prodotti in precedenza. E secondo lo stesso Grossi la Repubblica islamica è l'unico Paese non dotato di armi nucleari che arricchisce il materiale fissile a questo livello, ben al di sopra di quello necessario per produrre combustibile per le centrali (3-5 per cento) e pericolosamente vicino al 90 per cento necessario per produrre testate atomiche. E in un Medio Oriente attraversato da tensioni e sconvolgimenti politici così rapidi, ogni allarme sembra giustificato.
E Israele non è rimasta a guardare. Ha colto l'occasione e l'esercito ha effettuato una delle solite mosse difensive anticipate. Una grande bandiera dello Stato ebraico sventola sul versante siriano del monte Hermon, al confine tra i due Paesi, segnalando simbolicamente una data storica. Nel luogo dove la Bibbia colloca il confine nord della Terra promessa, e i cristiani la trasfigurazione di Gesù, l'unità d'élite Shaldag dell'Idf ha preso il controllo delle basi abbandonate repentinamente dall'esercito governativo di Damasco. Spingendosi, hanno riferito diversi report locali, fino a 14 chilometri in profondità nel territorio della Siria.
Prima di questa veloce operazione, e senza incontrare resistenza, carri armati e forze di fanteria israeliani sono entrati nella zona smilitarizzata del Golan schierandosi sulla Linea Alpha, alla frontiera tra Siria e Israele, per impedire ai ribelli siriani di passare. Per la prima volta da quando è stato firmato l'Accordo di disimpegno del 1974, che pose fine alla guerra dello Yom Kippur. La decisione è stata presa durante la notte con voto unanime dal gabinetto di sicurezza, in coordinamento con la forza delle Nazioni Unite (Undof) responsabile dell'area.
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E previo avviso agli Usa, come ha riferito un alto funzionario israeliano. Il primo ministro Benyamin Netanyahu, in visita stamattina al Monte Bental nel Golan, ha diffuso un video in cui commenta la caduta di Assad attribuendosi il merito di aver dato il via alla catena di eventi che ha portato alla presa di Damasco. "È un giorno storico per il Medio Oriente: il regime di Assad era un anello centrale della catena del male dell'Iran, ora il regime è caduto. Questo è il risultato diretto dei colpi che abbiamo inflitto all'Iran e a Hezbollah, principali sostenitori del dittatore", ha detto Netanyahu.
L'Europa sorride alla fine del regime di Bashar Assad, Donald Trump non cambia linea e annuncia che la sua America non si intrometterà. Le reazioni dell'Occidente al clamoroso cambio di potere in Siria raccontano le due visioni differenti che, sulle sponde dell'Atlantico, sono destinate a confrontarsi a partire da gennaio. Il Medio Oriente, spesso al centro della politica estera di Barack Obama e Joe Biden, lo sarà meno per l'amministrazione Trump e il presidente eletto non ha perso occasione di lanciare i suoi strali contro le mosse dei predecessori democratici. Eppure, in qualche modo, tutti dovranno avere a che fare con Abu Mohammed Al Jolani e il suo gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham. I vertici comunitari, Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas, hanno salutato la caduta di Assad come "una grossa opportunità" per il popolo ma hanno avvertito che la transizione "non sarà priva di rischi". A far gola è soprattutto l'immagine di potenza ammaccata e friabile che, sulla crisi, Mosca ha mostrato di essere. Quanto accaduto dimostra che "Mosca è debole", che "la Russia e i suoi alleati possono essere sconfitti", ha sottolineato il polacco Donald Tusk. Se ne parlerà al summit Ue del prossimo 19 dicembre, quando i leader proveranno a intavolare una prima strategia di sostegno alla Siria.
A Bruxelles, in pochi si aspettavano un simile epilogo per Assad. Nei consessi europei si era addirittura cominciato a parlare di favorire i rimpatri volontari in Siria, considerata parzialmente sicura. Il golpe dei riballi islamisti cambia tutto: i prossimi giorni diranno se l'Hts manterrà le sue promesse su una transizione pacifica, dato che potrebbe favorire il ritorno dei siriani in patria. Nel frattempo, Londra, Parigi e Berlino non hanno nascosto la propria soddisfazione. "E' caduto finalmente uno Stato di barbarie", ha sottolineato Emmanuel Macron. "La fine di Assad è un sollievo per milioni di siriani", ha chiosato la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock mentre a Berlino centinaia e centinaia di rifugiati siriani festeggiavano la fuga del tiranno. "La nostra priorità è garantire che prevalga una soluzione politica e che la pace e la stabilità siano ripristinate", hanno osservato Kallas e il premier britannico Ken Starmer.
Negli Usa alla visione di Trump fa da contraltare quella di Joe Biden. "Finalmente Assad è caduto è un'opportunità storica per i siriani", ha detto il presidente americano sottolineando che "deve essere portato davanti alla giustizia e punito". "Gli Usa non dovrebbero farsi coinvolgere", era invece il monito di Trump, a poche ore dalla presa dei ribelli di Damasco. Poco dopo, su X, il presidente eletto rincarava la dose: "Questa non è la nostra battaglia. lasciate che si svolga", scriveva.
Tra le potenze regionali c'è un unico vincitore del terremoto politico in Siria: Recep Tayyp Erdogan. La Turchia, con la caduta di Bashar al Assad, allarga in modo sensibile la sua influenza in questo Paese crocevia per gli equilibri in Medio Oriente, a discapito dei rivali sciiti dell'Iran e anche della Russia. Diventando l'interlocutore principale delle fazioni che hanno preso il potere a Damasco, sempre sostenute da Ankara. Quello del sultano è un successo su tutta linea, che potrebbe consentirgli di raggiungere altri due obiettivi: indebolire ulteriormente i curdi e rimpatriare i siriani che da anni vivono come rifugiati nel suo Paese. Il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan ha detto che Ankara è pronta ad aiutare il Paese a "garantire la sua sicurezza" e a "curare le sue ferite".
E rispetto a questa nuova fase, gli analisti concordano sul fatto che "l'influenza turca aumenterà a Damasco, a scapito dell'Iran e della Russia". Con un nuovo governo amico a Damasco, inoltre, Erdogan punterà al ritorno in Siria dei milioni di rifugiati che la Turchia ha accolto suo malgrado negli ultimi anni. E questa prospettiva, sempre secondo il Middle East Institute, "rafforzerà il sostegno" alla sua leadership nell'opinione pubblica interna.