Nella serata di giovedì era arrivato il passo indietro dell'italoamericano Steve Scalise
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I repubblicani hanno scelto come loro candidato per la carica di speaker il deputato Jim Jordan, un "falco" alleato di Donald Trump. Nella votazione segreta, Jordan è stato preferito ad Austin Scott, un alleato del destituito speaker Kevin McCarthy: 124 voti contro 81. De vedere se ora il nominee avrà i numeri in aula, dove gli servono almeno 217 voti.
Cinquantanove anni, dell'Ohio, al Congresso dal 2007, il repubblicano è un sostenitore della prima ora del tycoon e uno dei più acerrimi nemici del dipartimento di Giustizia, da lui accusato di essere uno strumento nelle mani del presidente Biden e di aver ostacolato le indagini sul figlio Hunter.
Nella serata di giovedì era arrivato il passo indietro dell'italoamericano Steve Scalise, dopo solo 24 ore dalla sua candidatura strappata per soli quattordici voti. "C'è ancora molto lavoro da fare. Dobbiamo restare uniti ma c'è chi lavora dietro le quinte e pensa solo al vantaggio personale", ha attaccato amareggiato il repubblicano della Louisiana che non è riuscito ad ottenere le 217 preferenze necessarie per essere eletto. Determinante, ancora una volta, la brigata di estremisti guidata da Matt Gaetz che non gli ha perdonato di essere stato il numero due dello speaker silurato.
Il caos politico sulla collina di Washington in un momento così critico ha importanti conseguenze anche a livello internazionale. Il devastante attacco di Hamas nel fine settimana è avvenuto, ad esempio, in un momento in cui non c'è alcun ambasciatore americano in Israele, Egitto, Kuwait, Libano e Oman. E l'Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid), che guida gli sforzi del governo per aiutare i Paesi a riprendersi dai disastri, è priva di un assistente dell'amministratore per il Medio Oriente da quasi tre anni, ruolo fondamentale per l'invio di aiuti economici e umanitari di emergenza nella regione. Anche il coordinatore del dipartimento di stato per l'antiterrorismo è in attesa di conferma da quasi due anni. Tutti elementi che, sulla lunga distanza, rischiano di compromettere la capacità di leadership degli Stati Uniti, per la gioia di Vladimir Putin, Xi Jinping e il regime iraniano.