Nelle carte desecretate della Commissione d'inchiesta emergono nuove ombre sul processo che condannò Omar Hassan Hashi
Nuove ombre sul processo che condannò Omar Hassan Hashi per l'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, avvenuto il 20 marzo 1994 a Mogadiscio. Il testimone autista della troupe che riconobbe Hashi era "una persona non affidabile e che farebbe qualsiasi cosa per sopravvivere". Lo afferma il diplomatico italiano Giuseppe Cassini che svolse gli accertamenti in Somalia.
Testimonianze pilotate Le parole dell'ex ambasciatore si riferiscono alla sua deposizione dinanzi alla Commissione d'inchiesta, resa in seduta segreta, nell'ottobre del 2004, desecretata nei giorni scorsi e nella quale ribadiva il fatto che l'autista fosse inaffidabile poiché "è un bantu. La testimonianza di uno come lui è labile". Personalmente, affermava Cassini, "non gli darei un soldo bucato".
Altri depistaggi sulla ricerca della verità sulla morte della giornalista del Tg3 e del suo operatore si erano aperti già pochi giorni fa, quando il "supertestimone" Ahmed Ali Rage detto "Jelle" avrebbe confermato che la sua testimonianza "venne pilotata".
"Gli italiani avevano fretta di chiudere il caso" La testimonianza di Jelle fu sufficiente per far scattare la condanna all'ergastolo di Omar Hassan Hashi. Subito dopo il processo il supertestimone fu irreperibile. Trovato grazie alla redazione di "Chi l'ha visto?" confessò che "gli italiani avevano fretta di chiudere il caso e mi hanno promesso denaro in cambio di una testimonianza al processo".