La giornalista racconta nel suo podcast i suoi giorni di detenzione in Iran e dice di aver subito pensato che il suo arresto fosse legato a quello di Abedini. "Sono felice, ma adesso penso a chi è ancora in carcere. E' stato difficile dire che mi liberavano alla mia compagna di cella"
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All'indomani della liberazione, Cecilia Sala racconta i suoi giorni di detenzione in Iran sul suo podcast, pubblicato da Chora media. "Non mi hanno spiegato perché io sia finita in cella di isolamento nel carcere di Evin - dice la giornalista -. Questa storia comincia con il fatto che l'Iran è il Paese nel quale più volevo tornare, dove ci sono le persone a cui più mi sono affezionata. Si cerca di avere uno scudo dalla sofferenza degli altri che accumuli e qualche volta delle fonti che incontri per lavoro diventano amici, persone che vuoi sapere come stanno e l'Iran è uno di questi posti".
Poi, Cecilia descrive le sensazioni del ritorno a casa: "Sono confusa e felicissima, mi devo riabituare, devo riposare, questa notte non ho dormito per l'eccitazione e la gioia. Quella precedente per l'angoscia, sto bene, sono molto contenta".
La giornalista ricorda inoltre che in carcere "sono riuscita a ridere due volte: la prima volta che ho visto il cielo e poi quando c'era un uccellino che faceva un verso buffo. Il silenzio è il nemico in quel contesto e in quelle due occasioni ho riso e mi sono sentita bene. Mi sono concentrata su quell'attimo di gioia, ho pianto di gioia".
Cecilia Sala ricostruisce l'inizio della sua brutta avventura in Iran e spiega: "Stavo lavorando, hanno bussato alla porta, pensavo che fossero i signori delle pulizie e ho detto che non avevo bisogno di nulla, ma sono stati insistenti e ho aperto. Mi hanno portata via. Speravo che potesse essere una cosa rapida, ho capito dalle prime domande che non sarebbe stato breve. Ho capito che ero a Evin, conosco quel carcere non perché ci fossi già stata, ma conosco quanto è grande, dove è e ho capito dal percorso che ho fatto in auto che ero dentro la città e che era un carcere grande".
Aggiunge di aver letto qualche giorno prima dell'arresto in Italia di Mohammad Bedini e di aver collegato subito la sua vicenda a quella dell'ingegnere iraniano. "L'ho pensato dall'inizio. Pensavo che fosse uno scambio molto difficile e immaginavo che sarei rimasta lì per molto tempo".
Il suo pensiero va poi alle persone "che sono in carcere in Iran da moltissimo tempo". "Penso a loro - dice Cecilia Sala, in lacrime per la commozione -. Uno dei momenti più complicati è stato quando ho pensato a come avrei detto che mi avrebbero liberata a Farzanè, la donna con cui sono stata insieme in cella negli ultimi giorni e che sarebbe rimasta lì. C'è il senso di colpa dei fortunati nelle condizioni in cui mi trovo adesso. Sono quindi grata alle persone che per mestiere si prendono cura di chi è nelle condizioni in cui ero io e sono sottoposti a incarcerazioni molto più lunghe". E riprende: "La prima volta che mi hanno detto che sarei stata liberata non ci ho creduto, ho pensato che fosse un trucco. Ci sono persone che sono là dentro da moltissimo tempo e per me gli esempi erano loro".
Ripercorrendo la sua detenzione, dice: "Quasi tutti i giorni mi interrogavano. Per le prime due settimane tutti i giorni. Io ho preso in considerazione l'ipotesi di essere accusata di reati come pubblicità contro la Repubblica islamica, o molto più gravi", ma le accuse non sono mai state circostanziate. "Mi hanno detto che ero accusata di tante cose illecite compiute in tanti luoghi diversi".
Cecilia Sala ammette di aver avuto paura per la sua vita e chiarisce: "Quando hai paura di essere accusata di qualcosa di molto grave in un Paese in cui ci sono punizioni definitive, certo hai paura anche di quello. Te lo sogni, sei poco lucido, ti fidi poco della tua memoria se non dormi. Quindi sì, nella mia testa sì. Parlo di quello che è successo nella mia testa, non è stata minacciata la mia incolumità fisicamente in alcun modo. Cerco di non farmi delle illusioni che non aiutano in una situazione come quella in cui ero. E questo mi ha permesso di gioire tantissimo per essere uscita di lì dopo 21 giorni, non me lo sarei mai aspettata".
Sulle giornate passate in cella racconta: "Quando non hai nulla da fare, non ti stanchi, non hai sonno, non dormi, un'ora ti sembra una settimana. La cosa che più volevo era un libro, qualcosa che mi potesse portare fuori, in una storia che non fosse la mia". Ricorda che le hanno tolto gli occhiali e dice che senza lenti "io non vedo e non me li hanno dato se non negli ultimi giorni perché sono considerati pericolosi, puoi spaccare il vetro e usarlo per tagliarti. Non ho potuto scrivere, avere una penna, per lo stesso motivo, perché si può trasformare in un'arma. Io ho chiesto il Corano perché pensavo fosse l'unico libro in inglese che potessero avere in un carcere di massima sicurezza della Repubblica islamica e non mi è stato dato per molti giorni. Avevo delle coperte ma non cuscini o materassi. La mia fortuna è che io considero la cucina persiana favolosa, mangiavo molto riso, nel riso c'erano delle lenticchie, della carne, il problema non è stato mangiare ma dormire".