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"Sono sotto shock. Vorrei fare qualcosa per lei, abbracciare i suoi genitori e dirgli che ci sono. Solo io posso capire cosa sta vivendo", ha aggiunto
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Con l'arresto a Teheran di Cecilia Sala, riemergono ricordi bui per Alessia Piperno, la scrittrice e travel-blogger arrestata in Iran nel 2022 e poi rilasciata dopo quarantacinque giorni di detenzione nel carcere di Evin, lo stesso in cui si trova la giornalista. "Eravamo in sette in una cella di quattro metri per due. Da mangiare mi diedero pomodori marci e per scacciare la paura della morte contavo le lucine sul soffitto. Erano 628, accese tutto il giorno sulle nostre teste e sulle nostre vite", ha detto Piperno a la Repubblica. La travel-blogger ha poi spiegato di aver conosciuto Sala a un festival: "Sono sotto shock. Vorrei fare qualcosa per lei, abbracciare i suoi genitori e dirgli che ci sono. Solo io posso capire cosa sta vivendo. Mi auguro che non si trovi nel 209, è il settore peggiore anche se lei è una donna forte. I miei ricordi sono orribili. Le celle di Evin le capisci solo quando ci entri dentro".
Piperno ha poi raccontato nel dettaglio la sua esperienza nel carcere di Evin: "Non ci sono letti, dormi per terra in mezzo alle blatte, ai capelli e alle lacrime. C'è costantemente freddo perché non ti danno le coperte quando le chiedi. Ricordo quelle pareti bianche e una minuscola grata in alto dalla quale non vedevi il cielo. Per noi c'erano solo dieci minuti di aria per due volte a settimana. Quando chiesi un paio di slip puliti, me ne tirarono contro uno ricoperto di feci".
La travel-blogger ha inoltre aggiunto che quando si arriva in carcere "ti tolgono tutto, ti danno dei fogli in 'farsi' da firmare. Mi sono rifiutata, spero lo faccia anche Cecilia. Poi ti chiedono le password di tutti i social e delle mail. Bloccano anche WhatsApp. Ti interrogano con la faccia al muro e bendata anche per 12 ore. Eravamo sempre bendate. All'ora d'aria, quando ci portavano al bagno, quando venivamo interrogate". Le compagne iraniane subivano violenza fisica "continuamente. E dalla cella sentivi solo urla, tutto il giorno. Per questo essere impasticcate era l'unico modo per sfuggire alle grida".
"Il problema principale - ha dichiarato Piperno in un'altra intervista, all'Ansa - non è di tipo fisico: a noi stranieri non torcono un capello, ma mentalmente ti provano molto e te ne dicono di tutti i colori. A me ripetevano che sarei uscita da quel posto solo dieci anni dopo e che mia madre era morta. Al contrario, di quanto mi accusavano, non avevo invece mai partecipato alle proteste antigovernative di quel periodo". Ma - ha proseguito Alessia - ad Evin è possibile sopravvivere mantenendo la lucidità: "Non hai alternative, ti aiutano la speranza e il pensiero della famiglia. Ovviamente allo stesso modo soffre chi è a casa aspettando la tua liberazione. Per questo abbraccio i genitori di Cecilia, anche loro vanno tutelati in questo momento, e immagino il loro dolore, che è come quello provato dai miei". "Idealmente è come se mi sedessi accanto a lei, so cosa vuol dire stare lì dentro e qual è il terrore di stare da soli", ha poi continuato, riferendosi a Sala.
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A la Repubblica, Piperno ha sottolineato che solo da quando, a giugno, "hanno liberato il mio amico francese Louis, che venne arrestato con me, ho iniziato a guardare all'Iran in maniera diversa. Cioè non solo più come a un incubo durante il quale pensi anche al suicidio. Perché lì puoi perdere la testa".
Infine, la travel-blogger ha condiviso il ricordo degli "applausi che si sentono nei corridoi quando qualcuno viene liberato. Quando sei dentro pensi che prima o poi l'applauso arriverà anche per te. Cecilia verrà travolta da quei battiti delle mani, ne sono certa".