Contro l'invasione sovietica, il giovane cecoslovacco si diede fuoco a Praga in piazza San Venceslao e morì tre giorni dopo il 19 gennaio 1969. Solo alla caduta del muro di Berlino la sua figura in patria è stata rivalutata
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"Come i monaci buddisti". Così si suicidò, dandosi fuoco con la benzina, al centro di piazza San Venceslao, a Praga, il 16 gennaio 1969, Jan Palach. Il giovane cecoslovacco studente di Storia morì tre giorni dopo questa sua protesta contro l'occupazione sovietica della Cecoslovacchia nell'agosto 1968 e la ''normalizzazione'' seguita. A una infermiera che gli aveva chiesto il perché del suo gesto, Palach, appena 20enne, rispose ''per protesta contro quanto sta succedendo qui, contro l'inesistente libertà di parola e di stampa... lo dica a tutti!''. Nei tre giorni successivi, prima di morire in una atroce agonia, Palach rifiutò ogni sedativo, per rimanere lucido e spiegare il senso del suo atto. Ma solo col la caduta del muro di Berlino la sua figura fu rivalutata nel suo Paese ed oggi rappresenta, con il suo sacrificio, un martire anti-comunista.
Jan Palach, studente universitario e figlio di un pasticciere membro del Partito Socialista Cecoslovacco e del Sokol, nacque a Praga l'11 agosto 1948. Aveva, dunque, appena vent'anni quando nella notte del 20 agosto 1968, gli eserciti di quattro paesi del Patto di Varsavia, (Urss, Bulgaria, Polonia e Ungheria) invasero la Cecoslovacchia. Erano gli anni della Guerra Fredda.
E lui, che aveva assistito con interesse alla stagione riformista del suo Paese, passata alla storia come Primavera di Praga, non rimase con le mani in mano quando, nel giro di pochi mesi da quei fatti, il tutto fu represso militarmente dalle truppe dell'Unione Sovietica e degli altri Paesi che aderivano al Patto di Varsavia. Aveva così preso parte a scioperi studenteschi; si era rivolto direttamente ai soldati sovietici invasori; aveva tentato di organizzare l'occupazione dell'edificio della radio cecoslovacca per diffondere l'appello allo sciopero generale.
Ma, alla fine, decise di manifestare il proprio dissenso attraverso la scelta estrema di darsi fuoco in piazza, nel centro di Praga. Morì tre giorni in ospedale per le ustioni riportate. Sotto il regime comunista e fino alla Rivoluzione di velluto del 1989, il gesto di Palach non poteva essere commemorato apertamente nel Paese.
Solo con il crollo del muro di Berlino e del comunismo furono tributati onori a colui che oggi è considerato il patriota cecoslovacco divenuto simbolo della resistenza antisovietica. A lui fu eretto un monumento proprio in piazza Venceslao dove si diede fuoco. Nel 2019 si celebrò il 50esimo del suo sacrificio.