Considerato da molti come l'ultimo dittatore europeo, è da anni legato a doppio filo con la vicina Russia. Fondamentale la sua mediazione per fermare Prigozhin
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Il leader bielorusso Alexandr Lukashenko, tornato agli onori della cronaca dopo aver mediato con il leader del gruppo Wagner, Evgenij Prigozhin, è da tempo una delle figure politiche più contestate in Europa. Da sempre alleato di Putin e della Russia, a cui ha legato le sorti economiche del proprio paese, è al potere da quasi vent'anni, dopo aver vinto le prime elezioni nel 1994. I suoi atteggiamenti sono da sempre considerati dittatoriali da diversi leader mondiali.
Quando si presenta come candidato per le elezioni presidenziali del 1994, Lukashenko è uno sconosciuto per buona parte dei cittadini. Nato nel 1954, un passato nell’Armata Rossa, una laurea in economia nel 1974 e una all’Accademia Bielorussa d’Agricoltura nel 1985, il futuro presidente è in quel momento un semplice proprietario di un sovchoz, una fattoria statale di tipo sovietico. In politica era entrato pochi anni prima, nel 1990 con la fondazione del partito “Comunisti per la democrazia”, che aveva l'obiettivo di rendere l’URSS un paese democratico, seguendo però i principi comunisti. A sorpresa con oltre l'80% dei voti, Lukashenko diventa presidente. Ci riesce con una campagna elettorale aggressiva, soprattutto nei confronti dei rivali, che afferma di voler "spedire sull'Himalaya", in caso di vittoria.
Nonostante i tentativi di stabilizzare l'economia bielorussa, Lukashenko si è da subito avvicinato alla Russia, anche per le forniture di gas ed elettricità. In passato il leader bielorusso è arrivato anche a parlare di una possibile unione tra i due stati sovietici, anche se negli ultimi anni sembra essersi smarcato da questa idea. Allo stesso tempo Lukashenko ha cercato di mantenere rapporti cordiali con l'occidente (almeno fino alle elezioni del 2020), anche se nel corso degli anni non sono mancati i dissidi, soprattutto con gli Stati Uniti.
I motivi dietro l'ostilità dell'Europa e degli Usa sono da ritrovarsi nelle politiche che il leader bielorusso ha adottato nel corso dei suoi mandati. Nel 1996 ha trasferito gran parte dei poteri di primo ministro al Presidente della Repubblica, cioè se stesso; ha poi eliminato ogni possibile limite di ricandidature possibili alla carica presidenziale; uso arbitrario del sistema giudiziario per silenziare ogni genere di dissenso, stigmatizzato anche dal Consiglio di Sicurezza ONU con una risoluzione del 2008 e, infine ha poi mantenuto la pena capitale nell'ordine giuridico.
L Non sono poi mancate le proteste da parte dei cittadini, soprattutto durante le diverse elezioni presidenziali. Se Lukashenko ha sempre vinto con percentuali nette sulla carta (intorno all'80%), non si sono mai fermate le polemiche. L'Ocse ha spesso contestato i risultati elettorali, sostenendo che le elezioni non si siano svolte in un contesto democratico. In particolare nel 2020, nonostante la solita vittoria netta, le manifestazioni di protesta dei cittadini sono continuate per settimane, mentre alcuni candidati dell'opposizione sono stati costretti a fuggire all'estero per evitare l'arresto. Secondo alcuni report, Lukashenko avrebbe in realtà perso le elezioni, ma sarebbe rimasto al governo tramite dei brogli. Per questo motivo il Parlamento Europeo ha approvato un documento in cui afferma di non riconoscerlo come Presidente della Bielorussia. Nel 2021 il leader bielorusso ha dirottato il volo Ryanair 4978, proveniente da Atene e diretto a Vilnius, che trasportava l’attivista dell'opposizione Roman Protasevič, poi arrestato.