Le massicce adozioni sono state uno degli effetti più distorsivi della rigida politica del figlio unico. Sconcerto per le famiglie (anche italiane) in attesa
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La Cina ha sospeso con effetto immediato le adozioni internazionali. L'annuncio di Pechino arriva soprattutto come conseguenza al calo del tasso di natalità nel Paese. Per tre decenni il governo ha permesso che migliaia dei suoi bambini andassero all'estero. Poi l'interruzione negli anni della pandemia e ora il provvedimento che mette la parola fine alla questione. Sconcerto tra le famiglie in attesa che non sanno ancora cosa accadrà alle loro pratiche.
Con il Dragone salito alla posizione di seconda economia del pianeta e sempre più carico di ambizioni, Pechino ha deciso la svolta con una mossa che è "in linea con lo spirito delle convenzioni internazionali", ha detto la portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning, che ha poi dato pochi dettagli sulla nuova politica, affermando solo che ci saranno eccezioni per gli stranieri che adottano figliastri e figli di parenti di sangue in Cina. "Siamo grati per il desiderio e l'amore dei governi e delle famiglie di adozione dei Paesi interessati ad adottare bambini cinesi", ha concluso.
Le massicce adozioni da famiglie di altri Paesi che hanno caratterizzato la storia della Cina sono uno degli effetti più distorsivi della rigida politica del figlio unico che ha costretto per decenni molte famiglie ad abbandonare i neonati nei vicoli o davanti alle porte delle stazioni di polizia o degli istituti di assistenza sociale per evitare le pesanti sanzioni previste contro le violazioni. La legge che imponeva il figlio unico è stata rimossa nel 2015. Oggi la situazione è completamente diversa. La Cina è alle prese con uno dei tassi di natalità più bassi al mondo. Nel 2023 il numero di neonati è sceso a 9,02 milioni: il secondo calo demografico annuale consecutivo che ha permesso all'India di diventare il Paese più popoloso del mondo. La Cina mantiene una politica nominale che limita le nascite, ma non più a un figlio per famiglia come era in passato. Adesso il limite è di tre e il Dragone cerca di incoraggiare le nascite.
Le adozioni internazionali hanno toccato il picco prima degli anni Duemila: non potendo pagare le cure, molti orfanotrofi optavano per l'affido all'estero al fine di finanziare i propri servizi. Nel 1992 la Cina ufficializzò il via libera alle procedure. Il ritmo delle adozioni ha avuto rallentamenti un decennio dopo, con l'economia in crescita impetuosa e il governo impegnato a stanziare via via più soldi per sostenere gli orfani. Secondo Pechino oltre 160.000 bambini sono andati all'estero dall'inizio degli anni '90, di cui più della metà negli Usa. Prima del Covid-19, la Cina era tra i principali Paesi d'origine delle adozioni internazionali, quasi tutte relative a casi con disabilità. Dopo la pandemia l'esame delle domande di adozione era ripreso, ma solo per le pratiche con l'autorizzazione al viaggio rilasciato prima dello stop del 2020. Nella capitale cinese, ad esempio, era facile trovare famiglie - anche italiane - in visita per sbloccare le adozioni. La fine del programma di adozione arriva anche a causa delle accuse di corruzione maturate nel tempo. Nel 2007 il governo cinese rese più stringenti le regole dopo alcuni scandali che avevano riguardato donazioni da migliaia di dollari ad alcuni orfanotrofi. A gennaio di quest'anno, ad esempio, l'unica agenzia di adozioni all'estero della Danimarca ha riferito di aver chiuso con la Cina dopo delle accuse sollevate su documenti e procedure falsificate.
La sospensione ha sollevato interrogativi per molte delle centinaia di famiglie - soprattutto negli Stati Uniti - con procedure ancora aperte e che in questi giorni si sono sentite dire dalle agenzie specializzate che Pechino si stava avviando verso la stretta. Per questo, l'ambasciata Usa ha chiesto chiarimenti al ministero degli Affari civili cinese. Lo ha riferito il Dipartimento di Stato di Washington, volendo chiarire la sorte di "centinaia di famiglie ancora in attesa della chiusura della loro procedura" ed esprimendo solidarietà per la loro situazione". In una telefonata con i diplomatici americani, Pechino ha chiarito che "non continuerà a trattare le pratiche in alcuna fase" se non quelle coperte da una clausola di eccezione.