10mila morti nella grande mela

Coronavirus, almeno 70mila vittime nel mondo, oltre 10mila i morti negli Usa

L'Europa inizia a vedere una flebile luce in fondo al tunnel sull'esempio di Wuhan dove il 90% delle attività è ripartito. Smentita l'ipotesi di fosse comuni nei parchi a New York

07 Apr 2020 - 16:31

Negli Stati Uniti il coronavirus ha provocato la morte di più di 10.000 persone. E' quanto risulta dai dati diffusi dal governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, secondo cui le vittime nell'intero Paese sono 10.252, di cui 4.758 a New York. Dalla tabella mostrata da Cuomo, i casi di contagio negli Usa sono ora 344.554.

Le autorità newyorkesi, invece, secondo fonti Mediaset hanno smentito l'ipotesi, circolata nelle ultime ore, di fosse comuni nei parchi cittadini per seppellire i corpi delle sempre più numerose vittime del virus: I morti verranno invece sepolti temporaneamente nell'isola-cimitero di Hart Island.

Il triste bilancio nel mondo, intanto, va oltre le 7omila vittime. I casi accertati di coronavirus in tutto il mondo hanno superato il milione e 300mila. E' quanto emerge dal conteggio della Johns Hopkins University. 

Mentre a Wuhan, primissimo focolaio, il 90% delle attività ha ripreso a funzionare e a breve il lockdown sarà ufficialmente rimosso, l'Europa, ancora alle prese con l'emergenza, inizia a vedere una flebile luce in fondo al tunnel, anche se fare i conti con i numeri è pesantissimo. Soltanto nel vecchio Continente le vittime hanno superato le 50.000.
 

L'Austria è la prima ad annunciare un parziale ritorno alla normalità. Anche perché l'onda lunga che ha travolto il Vecchio Continente sta lasciando macerie dove prima c'erano economie solide e nei governi europei si fa sempre più  strada la consapevolezza che un lockdown prolungato avrebbe effetti ancor più deleteri a livello sociale.

L'esempio cui si guarda con speranza è quello di Wuhan in Cina, primo focolaio della pandemia e dove ora sono ripartite oltre il 90% delle imprese. Anche se nel mondo c'è ancora chi potrebbe avere il peggio davanti a sé, come il Giappone, costretto a dichiarare lo stato d'emergenza dopo l'espansione a ritmo sempre piu' allarmante del virus, in particolare a Tokyo.

O come la la Svezia, finora andata controcorrente con misure molto rilassate ma che di fronte all'aumento dei contagi potrebbe essere costretta a sua volta al lockdown. Il governo si prepara all'eventualità chiedendo poteri speciali per tre mesi mentre Stoccolma si attrezza con un ospedale da campo da 600 posti per alleggerire la situazione della capitale, dove c'è stata la metà dei 400 decessi registrati nel Paese e dove ancora nel weekend le strade erano piene di persone in giro a fare shopping.

In Spagna, il Paese europeo più colpito dopo l'Italia, si pensa a come riavviare il motore del Paese mandato in panne dall'epidemia. I dati sono incoraggianti: i morti per coronavirus sono calati per il quarto giorno consecutivo e i ricoveri in terapia intensiva non aumentano più ai ritmi dei giorni scorsi. Il governo ha già messo in campo da giorni un team di esperti per preparare al dopo emergenza.

In Francia la priorità delle autorità rimane il confinamento, arrivato alla quarta settimana, con la speranza che anche lì si confermino i primi segni di una frenata dell'epidemia. Gli ospedali hanno registrato domenica il numero piu' basso di morti dal 29 marzo e c'è un rallentamento negli accessi alle terapie intensive. A Parigi gli addetti ai lavori possono dunque iniziare a ragionare su forme di confinamento più articolate, che tengano conto dell'immunità acquisita o dell'età, per far tornare alla normalità il maggior numero di persone possibile.

 In Germania la cancelliera Angela Merkel non ha voluto fissare una data prestabilita per annullare le misure di contenimento ma c'è già un elenco di possibili iniziative stilate dal ministero dell'Interno che un domani  dovrebbero consentire alla vita di tornare alla normalità. Tra queste l'obbligo di indossare mascherine in pubblico, limiti agli assembramenti e meccanismi per rintracciare con rapidità le catene di infezione.

La strada che faticosamente, un po' dappertutto, si cerca di trovare per evitare che dall'epidemia si passi in poco tempo alla catene.

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