DALL'EUROPEISMO ALLA REPRESSIONE

Dall'europeismo alla repressione: i perché della sanguinosa crisi ucraina

Le prime proteste contro l'accordo tra Kiev e Mosca che allontanava il Paese dall'Ue. Poi le reazioni spropositate hanno cambiato l'obiettivo dei manifestanti, che ora vogliono cacciare Ianukovich

20 Feb 2014 - 15:03
 © -afp

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Tutto è cominciato il 30 novembre: il presidente ucraino, Viktor Ianukovich, declina l'invito dell'Unione europea a un accordo di associazione e decide di riavvicinarsi alla Russia di Putin. Parte del Paese non ci sta e scende in piazza. Teatro della protesta è piazza Maidan, nel cuore di Kiev. Primi scontri tra manifestanti e polizia, primi feriti e primi arresti. Il popolo reagisce e si riversa in piazza: 300mila persone invadono la Capitale. La reazione è dura e ha il sapore della repressione. E cambia l'obiettivo di chi protesta: l'Europa può aspettare, prima bisogna cacciare Ianukovich.

Tra i primi dissensi di novembre, dovuti alla rinuncia di Kiev all'accordo di associazione proposto dall'Ue, e le decine di morti di febbraio scorre molta acqua e molto sangue. A incendiare la piazza non solo le scelte filorusse del presidente ma anche la decisione del parlamento, presa sempre a fine novembre, di non approvare la legge che avrebbe restituito la libertà a Yulia Tymoshenko, l'ex premier arrestata nel novembre del 2011.

Cortei e proteste proseguono e il 16 gennaio il governo cerca di fermare le contestazioni con la forza approvando leggi repressive che minano la libertà di espressione e di manifestazione e introducono il reato di "attività estremiste".

La piazza non ci sta e inizia a chiedere con insistenza le dimissioni di Ianukovich. La protesta si allarga alle altre principali città ucraine, toccando anche i feudi elettorali del presidente, nell'Est del Paese. L'Ue, per voce dell'Alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, inizia a far sentire la propria voce.

Si contano i primi morti: il 22 gennaio muoiono tre manifestanti. Tre giorni dopo muore un quarto insorto e il primo agente di polizia.

Ianukovich sembra pronto a un passo indietro: il 25 gennaio propone una serie di riforme e offre a uno dei leader delle opposizioni il ruolo di premier ottenendo però un rifiuto. Il 28 gennaio le leggi "liberticide" vengono ritirate e il primo ministro, Mikola Azarov, si dimette. Ventiquattro ore dopo l'amnistia-compromesso: niente prigione per i manifestanti nel caso in cui vengano lasciati liberi gli edifici pubblici occupati.

In tutto il Paese sembra tornare la calma. Ma è solo questione di giorni. Il 18 febbraio il parlamento non discute la riforma della Costituzione proposta dalle opposizioni: prevede una forte limitazione dei poteri del presidente. E' la goccia che fa nuovamente traboccare il vaso. I partiti di minoranza e i dimostranti lasciano piazza Maidan e si dirigono verso il parlamento di Kiev. Le forze dell'ordine si intromettono ed è una strage: muoiono 13 manifestanti e 7 poliziotti.

A chi scende in piazza non sembra interessare più, almeno temporaneamente, la questione europea. Cacciare il presidente eletto nel 2010 e già più volte primo ministro è ormai l'unico obiettivo. E' la sua fine politica il vero obiettivo della piazza. Solo con l'addio di Ianukovich, infatti, Kiev potrebbe riaprire il dialogo bruscamente interrotto con l'Unione europea.

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