Il sottosegretario agli Esteri spiega il motivo per il quale la richiesta fatta dalla famiglia di Giulio non è ricevibile
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"Non credo che il ritiro dell'ambasciatore sia una soluzione, non l'ho mai creduto per un semplice motivo: l'ambasciatore è il rappresentante del suo Paese in un altro Paese. Se si toglie l'ambasciatore di fatto si finisce di dialogare", lo ha detto il sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano, dopo la richiesta fatta dalla famiglia di Giulio Regeni. Nel mirino dei pm di Roma altri cinque 007 egiziani.
"Le pressioni si fanno in mille modi, non si fanno certamente togliendo l'ambasciatore", ha proseguito Di Stefano intervistato da Radio 24. E poi: "Ha un senso l'ambasciatore in un Paese, non è una pedina di ricatto". La richiesta del ritiro dell'ambasciatore italiano da Il Cairo era arrivata dai genitori di Giulio Regeni dopo aver letto la nota della procura di Roma che descriveva la teleconferenza avvenuta con gli omologhi egiziani.
"E' stato un fallimento. L'Italia richiami l'ambasciatore in Egitto", avevano duramente commentato i Regeni. L'incontro tra i procuratori era durato poco più di un'ora e svolto in videoconferenza per l'emergenza coronavirus. A leggere il comunicato diffuso al termine del vertice emerge che le autorità egiziane non hanno fornito alcun elemento nuovo o risposte alla rogatoria inviata da Roma nell'aprile del 2019 a cominciare dall'elezione di domicilio dei cinque indagati, tutti appartenenti ai servizi di sicurezza egiziana, e accusati dal pm Sergio Colaiocco del reato di sequestro di persona.
Nel mirino dei pm di Roma altri cinque 007 egiziani Ci sono almeno altri cinque uomini appartenenti agli 007 egiziani su cui la procura di Roma sta svolgendo accertamenti in relazione al rapimento. Sono cinque colleghi degli ufficiali già iscritti nel registro degli indagati nel 4 dicembre del 2018. I nomi degli altri agenti della National Security spuntano dai tabulati telefonici forniti nei mesi scorsi dalle autorità egiziane.